Bambini ed emozioni

Le emozioni sono le risposte che ognuno di noi dà alle percezioni di differenti stimoli, sulla base anche della propria esperienza.

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Cos’è un’emozione? Un’emozione è una reazione psicofisica, piacevole o spiacevole a eventi esterni e interni. Le emozioni sono le risposte che ognuno di noi dà alle percezioni di differenti stimoli, sulla base anche della propria esperienza, e la scienza le divide in quattro diverse tipologie:

risposte fisiologiche, che alterano la frequenza respiratoria e cardiaca, la pressione del sangue o la pelle;

risposte tonico-posturali, come ad esempio la tensione o il rilassamento del corpo;

risposte comportamentali, ossia che incidono sul comportamento;

risposte espressive, a loro volta suddivise in mimico-facciali (con variazioni nella voce e nei gesti) e di tipo linguistico (che influenzano le scelte lessicali e sintattiche).

Esistono emozioni di base (o primarie) ed emozioni secondarie. Le emozioni di base sono comuni agli uomini, nei quali compaiono fin da bambini, e agli animali più evoluti (alcuni dei quali, come i cani, addirittura riconoscono le nostre emozioni) e possiamo definirle “universali”. Sono quelle legate alla sopravvivenza, alla possibilità di portare a termine le azioni intraprese e alla costruzione delle relazioni. Sono: gioia, tristezza, paura e rabbia, sorpresa, disprezzo e disgusto.

Le emozioni complesse, o sociali, sono invece legate allo sviluppo della conoscenza e della società in cui si vive: si tratta di vergogna, senso di colpa, invidia o gelosia, tanto per citarne alcune. Il riconoscimento e la gestione delle emozioni sono abilità importantissime che vanno incentivate e sviluppate già dai primi anni di vita del bambino. Il linguaggio è la chiave per farlo; giocare a dare i nomi a quello che si prova è una possibile strategia. Una “fifa blu”, “rosso di vergogna”, “giallo di gelosia”, “verde d’invidia”, “arancione di gioia” e “grigio di tristezza”. Le emozioni sono come uno spettro di colori, ci attraversano, ma non sempre siamo capaci di dare loro un nome: è importante imparare fin da piccoli a riconoscerle e a gestirle, per uno sviluppo equilibrato.

Spesso, in famiglia come a scuola, si presta molta attenzione allo sviluppo cognitivo del bambino, poco a quello emotivo. Il risultato si nota in adulti incapaci di gestire le proprie emozioni, con esiti in alcuni casi anche abbastanza infelici.

Come raccontare le emozioni ai bambini?

Soffermandosi su quello che provano in un determinato momento, dando un nome ai loro stati d’animo riportando e descrivendo i propri, raccontando ad esempio, fiabe o storie che narrino di ciò che si prova cercando magari di simulare qualche emozione. La narrazione “condivisa”, ricordiamolo, è un ottimo strumento per conoscere, elaborare e dare un nome ai propri vissuti. L’ASCOLTO è fondamentale, non dimentichiamolo; ascoltare e parlare, spronando i bambini a dare un nome alle cose che provano, è indispensabile perché più è vasto il loro linguaggio, meglio riescono a descrivere ciò che sentono, più saranno capaci di gestirlo. Questo vale anche con i bambini piccoli, che non hanno un vocabolario molto ricco.

Ci si può dedicare al linguaggio in modo giocoso, disegnando faccine e dando un nome alle espressioni: attraverso le parole impariamo a riconoscere quello che c’è dentro di noi.

Saper gestire le emozioni è sostanziale, significa non farsi travolgere dalla rabbia, non perdere l’autocontrollo, affrontare le paure, riconoscere ed esternare in modo corretto i sentimenti. Tutte competenze che aiutano a vivere bene con se stessi e con gli altri. E’ quindi importante insegnare ai nostri figli l’abc delle emozioni per prepararli alla vita.

Un’altra cosa che i genitori non devono assolutamente fare è negare le emozioni dei bambini. I genitori faticano a vedere il figlio triste, arrabbiato, impaurito, perciò tendono a sminuire queste emozioni con frasi come: “non c’è da aver paura!”, “non essere triste”; ma in questo modo i bambini si sentono confusi e temono di essere sbagliati perché provano qualcosa che il genitore non riconosce.

Quello che invece bisogna fare è riconoscere le emozioni del piccolo, dar loro un nome e insegnargli a lasciarle andare. Bisogna prima di tutto sintonizzarsi sul bambino: entrare in empatia con lui dicendogli per esempio: “ti vedo triste…”; poi accogliere l’emozione negativa: “ti capisco, anch’io sarei triste se mi fosse capitato questo….”; infine aiutarlo ad attivare un ragionamento per vedere il risvolto positivo di un accadimento, fargli capire che poi passerà e che anche le crisi ci possono insegnare qualcosa.

I piccoli solo molto perspicaci e capiscono quando qualcosa non va, quindi è fondamentale parlarne. Ovviamente usando le parole adatte alla loro età e condividendo l’emozione in questione, positiva o negativa che sia.

Abituare i bambini a parlare delle emozioni, servirà tantissimo quando saranno adolescenti e si troveranno ad affrontare delle vere e proprie tempeste emotive. Sarà per loro un aiuto sapere che “come succede a me, succede alla mia mamma e al papà” ed è possibile attraversarle imparando a riconoscerle, gestirle e a strutturare comportamenti adeguati in relazione ai singoli stati emotivi provati.

 

Dott.ssa Ilenia Gregorio
Psicologa Sociale iscritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Campania N. 9622, Psicopedagogista Clinica, Mediatore Familiare Sistemico, Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale (Polo Clinico Centro Studi Kairos sede di Napoli dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma). Ha conseguito la Laurea cum Laude a ciclo unico in Scienze Psicopedagogiche presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli discutendo la Tesi in Psicologia Dinamica sui Meccanismi di difesa e le dinamiche psichiche del paziente oncologico. Ha conseguito, inoltre, una seconda Laurea Magistrale in Psicologia Sociale, dei Servizi e delle Organizzazioni approfondendo la Psicologia dei Processi Cognitivi nelle malattie croniche e neurodegenerative con una Tesi sui Disturbi Cognitivi, Affettivi e Comportamentali nella malattia di Parkinson presso l’Università di Roma. Impegnata da anni nel campo della ricerca e del sostegno psicologico e psicopedagogico in oncologia e nelle malattie neurodegenerative inizia nel 2006, la collaborazione in qualità di ricercatrice e supporto alla ricerca con l’INT Fondazione Pascale di Napoli nel Dipartimento di Ginecologia Oncologica e di Psiconcologia che la vede impegnata ancora oggi in Progetti di Ricerca, psico-educazione, sostegno psicologico alle famiglie con patologia oncologica, e psicoterapia occupandosi sia di pazienti pediatrici che di pazienti adulti. Esperta in Infant Observation e Play Therapy, Docente e Formatore ha collaborato con la Lega Italiana Lotta ai Tumori (sezione di Napoli), con la Regione Campania e con enti pubblici e privati in Progetti di educazione Socio-Sanitaria, Counseling psicologico e corsi di formazione regionali. Relatrice in diversi Convegni e Seminari riguardanti tematiche Psicologiche e Pedagogiche è specializzata, inoltre, nel sostegno di famiglie multiproblematiche e devianti avendo lavorato con nuclei familiari a rischio e con forte disagio socio- economico e culturale della II e III Municipalità di Napoli. E’stata ospite in diverse trasmissioni televisive e radiofoniche trattando tematiche psicologiche, pedagogiche e di salute e benessere. Ha lavorato in Progetti nel campo delle disabilità ed ha coadiuvato programmi di Psicologia della Nutrizione ed Educazione Alimentare nelle scuole e in centri privati. Pubblicista e autrice e di Articoli per diverse testate mediche on line è stata impegnata nella S.C. di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Tumori di Napoli in attività connesse all’ Emergenza SARS CoV-2. Attualmente lavora come Psiconcologa presso la U.O.C. di Radioterapia dell’INT di Napoli “Fondazione G. Pascale” con pazienti pediatrici e pazienti adulti in trattamento radioterapico.

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