Come comunicare ai bambini la malattia del genitore

La comunicazione della diagnosi, specialmente se essa riguarda una condizione per la quale non esistono rimedi di guarigione, è sempre un momento molto difficile

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Molti genitori, in caso di malattia oncologica, sentono come un problema talvolta insormontabile quello che riguarda l’atteggiamento da avere nei riguardi dei loro figli, in merito a cosa e quanto comunicare. La comunicazione della diagnosi, specialmente se essa riguarda una condizione per la quale non esistono rimedi di guarigione, è sempre un momento molto difficile. È difficile per chi soffre, comprendere subito realmente il significato di una diagnosi di una malattia grave, è estremamente arduo e frustrante per chi sta accanto alla persona ammalata. La frattura che si crea nella vita di una persona quando si imbatte in un evento traumatico di questo genere, crea un effetto particolare. Da quel momento cambia completamente per la persona la percezione della situazione. È come se nulla fosse come prima. Sicuramente la comunicazione della diagnosi di una malattia grave è un evento importante da gestire. Comunicare non significa soltanto dare la notizia, bensì dovrebbe comportare anche aiutare attivamente la persona a comprendere e a disporsi nel modo migliore possibile nell’affrontare la nuova situazione. Questo non può avvenire in un momento solo, ma è un processo composto da varie fasi, con un andamento differente da persona a persona, che comporta quindi un’evoluzione individuale.

Questo si complica quando si deve comunicare una diagnosi di malattia oncologica ai bambini, perché vi sono elementi di complessità che derivano dal fatto che occorre gestire sia la condizione del genitore interessato, sia lo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino, sia la reazione alla diagnosi del bambino.

È assolutamente legittimo per un genitore decidere quali siano i tempi, i modi e le informazioni che è giusto comunicare. Nessuno più di lui ha il diritto di scegliere queste cose. Sicuramente però può essere oggetto di molti dubbi e preoccupazioni per un genitore, pensare come e quando farlo, e a volte potrebbe servirgli chiedere sostegno e consiglio sul da farsi a persone da lui ritenute esperte.

Spesso questa è l’occasione nella quale il genitore deve ripensare alla propria malattia ed alle sue conseguenze, perché si pone il problema di proteggere ed aiutare il bambino stesso a comprenderla, ad affrontare l’impatto della nuova realtà, ad affrontare le inevitabili evoluzioni ed i cambiamenti che avvengono nel Sistema-Famiglia.

La tendenza di ogni genitore è istintivamente quella di proteggere i figli dalla sofferenza. Spesso, però, una buona comunicazione si rivela più terapeutica dell’assenza di comunicazione, perché fa sentire i figli più coinvolti, più partecipi e meno trascurati. Non va dimenticato, infatti, che la situazione ‘parla’ da sola, attraverso cambiamenti, assenze, malessere, e che il non comprendere a fondo ciò che sta accadendo intorno a lui/lei può alimentare nei piccoli sensi di colpa, può farli sentire non amati a sufficienza, oltre che indurli a farsi un’idea a volte più grave della realtà. Ai genitori spetta un compito estremamente difficile, ecco perché spesso è fondamentale avere un aiuto ed un sostegno adeguati.

E’ dunque importante coinvolgere i propri figli in un percorso di malattia. I bambini hanno il diritto di conoscere tutto ciò che accade in famiglia, quindi anche di sapere che il padre o la madre ha una malattia seria come un tumore. I figli intuiscono quando qualcosa non va, e possono sentirsi isolati se non sono adeguatamente informati. Inoltre, se coinvolti, possono contribuire ad alleviare le tensioni e a creare un clima di collaborazione ed autenticità.

Ciò che fa particolarmente paura di un tumore sono le molte incognite. Convivere con l’incertezza è un aspetto della malattia. Come altre malattie importanti, anche il tumore influenza il clima emotivo di tutta la famiglia, benché per alcuni mostrare i propri sentimenti sarà più facile che per altri. L’aspetto fisico subisce dei cambiamenti così come i comportamenti o le routine quotidiane. Quando infatti la malattia interviene nella vita della famiglia, produce molto spesso cambiamenti organizzativi e relazionali. Può verificarsi che, per attirare l’attenzione, i bambini abbiano dei comportamenti poco collaborativi. È importante ricordare loro (e/o stabilire) delle regole di comportamento ben precise al fine di salvaguardarne la loro educazione, e al tempo stesso agevolare la vita familiare. Se ci si dimostra troppo tolleranti e permissivi nei confronti di comportamenti “difficili” o anche “oppositivi”, nei bambini si potrebbe rafforzare la convinzione che in famiglia sta accadendo qualcosa di grave. Anche aiutare i bambini a capire l’esperienza di malattia richiede pazienza e attenzione. Essi possono attraversare le vostre stesse fasi, alternando incredulità, rabbia, paura, angoscia, riorganizzazione, speranza e accettazione. Le loro esigenze possono variare in funzione dell’età ed anche nel corso della malattia. Ci si potrebbe trovare di fronte a fenomeni di regressione, i bambini, a qualunque età, potrebbero cominciare a comportarsi come bambini più piccoli. Talvolta è questo il loro modo di attirare l’attenzione. A prescindere dall’età dei figli, ciò che è importante è parlare con loro, condividere le emozioni e capire i loro bisogni.

Il tempo trascorso insieme è sempre prezioso, anche quando la qualità è ridotta dai sintomi della malattia o dagli effetti collaterali dei trattamenti.

Importante può essere pensare alle cose da fare insieme che non richiedono molta energia come ad esempio: leggere, guardare la Tv, dipingere, preparare insieme la cena se si è in grado. Anche un bambino piccolo può essere coinvolto nel dare una mano, ad esempio portando a letto da bere o da mangiare al genitore oppure il giornale o un libro da leggere. Se i bambini fanno domande sulla malattia, può essere utile leggere insieme un libro sul corpo umano, far vedere loro dov’è localizzato il tumore e spiegare che cosa sta accadendo dal punto di vista fisico.

Inoltre, se si è in regime di ricovero i bambini possono:

  • Visitare il genitore nell’apposita sala riservata alle visite, meglio ancora in un luogo deputato nello specifico agli incontri bambini-genitori;

  • telefonare;

  • inviare messaggi o video registrati;

  • mandare disegni o fotografie;

Perché quindi è di fondamentale importanza parlarne con i bambini?

Perché se si parla apertamente con i propri figli è più facile proteggerli da mezze verità che potrebbero trapelare dalle conversazioni altrui con informazioni spesso discordanti o inesatte. Tacendo sull’argomento, i bambini, che avvertono e percepiscono che c’è “qualcosa che non va”, produrranno spiegazioni spesso più gravi della reale situazione e tenderanno a vivere in un costante clima di insicurezza e disorientamento. Comunicando in modo chiaro ed autentico si evitano, invece, inutili ed infondati sensi di colpa; si recupera un clima di maggiore distensione; ci si riadatta alla nuova condizione in un clima di cooperazione e condivisione.

 

Dott.ssa Ilenia Gregorio
Psicologa Sociale iscritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Campania N. 9622, Psicopedagogista Clinica, Mediatore Familiare Sistemico, Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale (Polo Clinico Centro Studi Kairos sede di Napoli dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma). Ha conseguito la Laurea cum Laude a ciclo unico in Scienze Psicopedagogiche presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli discutendo la Tesi in Psicologia Dinamica sui Meccanismi di difesa e le dinamiche psichiche del paziente oncologico. Ha conseguito, inoltre, una seconda Laurea Magistrale in Psicologia Sociale, dei Servizi e delle Organizzazioni approfondendo la Psicologia dei Processi Cognitivi nelle malattie croniche e neurodegenerative con una Tesi sui Disturbi Cognitivi, Affettivi e Comportamentali nella malattia di Parkinson presso l’Università di Roma. Impegnata da anni nel campo della ricerca e del sostegno psicologico e psicopedagogico in oncologia e nelle malattie neurodegenerative inizia nel 2006, la collaborazione in qualità di ricercatrice e supporto alla ricerca con l’INT Fondazione Pascale di Napoli nel Dipartimento di Ginecologia Oncologica e di Psiconcologia che la vede impegnata ancora oggi in Progetti di Ricerca, psico-educazione, sostegno psicologico alle famiglie con patologia oncologica, e psicoterapia occupandosi sia di pazienti pediatrici che di pazienti adulti. Esperta in Infant Observation e Play Therapy, Docente e Formatore ha collaborato con la Lega Italiana Lotta ai Tumori (sezione di Napoli), con la Regione Campania e con enti pubblici e privati in Progetti di educazione Socio-Sanitaria, Counseling psicologico e corsi di formazione regionali. Relatrice in diversi Convegni e Seminari riguardanti tematiche Psicologiche e Pedagogiche è specializzata, inoltre, nel sostegno di famiglie multiproblematiche e devianti avendo lavorato con nuclei familiari a rischio e con forte disagio socio- economico e culturale della II e III Municipalità di Napoli. E’stata ospite in diverse trasmissioni televisive e radiofoniche trattando tematiche psicologiche, pedagogiche e di salute e benessere. Ha lavorato in Progetti nel campo delle disabilità ed ha coadiuvato programmi di Psicologia della Nutrizione ed Educazione Alimentare nelle scuole e in centri privati. Pubblicista e autrice e di Articoli per diverse testate mediche on line è stata impegnata nella S.C. di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Tumori di Napoli in attività connesse all’ Emergenza SARS CoV-2. Attualmente lavora come Psiconcologa presso la U.O.C. di Radioterapia dell’INT di Napoli “Fondazione G. Pascale” con pazienti pediatrici e pazienti adulti in trattamento radioterapico.

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