Achillea millefolium, impiego nella tradizione e nuovi effetti terapeutici

L’Achilea è stata considerata a lungo sacra, esternamente viene usata nelle ulcerazioni, piaghe e lussazioni, ma si adopera principalmente in decotto nelle emorragie ed emorroidi

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Un reperto storico di grande interesse (risalente a 60.000 anni), rinvenuto in una necropoli irachena, è la prova che l’uomo di Neanderthal utilizzava l’achillea. Il nome Achillea era già presente nel “De simplicium medicamentorum facultatibus” del medico greco Galeno (129-200 d.C.). È Plinio a recuperare la storia di Achille, eroe greco, che curò alcune ferite dei suoi soldati, nell’assedio di Troia, con le parti aeree di achillea; da qui il nome del genere. Il nome della specie (millefolium) è dovuto alla particolare caratteristica delle foglie che appaiono talmente frastagliate da formare numerose lacinie fogliari. Considerati a lungo sacri, gli steli dell’achillea erano usati in Cina per consultare il libro dei mutamenti (il famoso I Ching): gli steli venivano lanciati in aria e a seconda di come si disponevano, toccando terra, si interpretava il responso.

L’achillea nella tradizione

Secondo il medico Carlo Giuseppe Meyer (1841) ha caratteristiche simili a quelle della camomilla; infatti, si trova il camazulene, presente anche nella camomilla. Meyer non conosceva questa molecola ma intuiva già la natura affine dell’essenza di Camomilla ed Achillea, a dimostrare la scrupolosa osservazione e la spiccata percezione sua e di altri scienziati del tempo. Esternamente è utile nelle ulcerazioni, nelle piaghe e nelle lussazioni, ma si adopera principalmente in decotto nelle blenorree, nelle emorragie, nelle emorroidi sanguinanti, ma anche nei problemi mestruali come spasmi e amenorrea. Il considerevole utilizzo fatto da Meyer nei dolori mestruali trova conferma peraltro in uno studio clinico che consolida l’uso dell’achillea nella riduzione della gravità del dolore nella dismenorrea primitiva. Tale uso persiste ancora oggi nelle popolazioni di varie parti del mondo come documentato da importanti indagini di etnomedicina. Traccia di notevole interesse, che evidenzia l’imponente presenza della pianta nella terapia erboristica, è un articolo della Gazzetta Medica Italiana dell’anno 1857; si tratta di un importante documento storico il cui eco si è ripercosso fino ai giorni nostri, che vedono molti erboristi utilizzare la parte aerea della pianta nei problemi emorroidari. L’articolo in questione, infatti, esalta il successo ottenuto da un popolare medico francese nel trattamento delle emorroidi. Oltre tali impieghi, che sono diventati comuni nel tempo, Sir Henry Thompson nel suo “The diseases of the prostate” (1868) evidenzia l’utilizzo del decotto nella cistite cronica, scrive: “in tutte le forme di malattia che producono una minzione frequente e dolorosa “, recuperandone la validità nelle disfunzioni urinarie, come già aveva fatto più di un secolo prima Robert James e, ancora prima, Chomel. Egli ci dona la sua ricetta: 30 g di droga bollita un’ora in mezzo litro di acqua, da bere durante la giornata in 3-4 volte.

L’effetto inibitorio dei sesquiterpeni

Al netto degli usi tradizionali, oggi sappiamo molto di più sulla composizione e potendo isolare singoli composti chimici si scoprono nuovi effetti terapeutici prima imperscrutabili. In particolare, l’effetto inibitorio di tre lattoni sesquiterpenici, iso-seco-tanapartolide, arteludooicinolide A e millifolide A isolati da Achillea millefolium L., sono stati esaminati su cellule di cancro del polmone. Il millifolide A sembra avere effetti inibitori significativi sulla proliferazione delle cellule tumorali polmonari umane, probabilmente attraverso l’induzione dell’apoptosi cellulare. Alla luce di queste scoperte, si augurano nuovi studi per poter approfondire un possibile rimedio in una patologia così importante.

Fonti

Nat Prod Res. 2021;1-3.

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