Cosa c’è da sapere sulla vitamina D: il percorso fatto, dalla formazione alla funzione, è disseminato di trappole.

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Per parlare della vitamina D non basterebbe forse un libro, tante sono le sue proprietà e le ricerche che ne trattano al punto che ad oggi sono oltre 40.000 le pubblicazioni scientifiche sull’argomento, non considerando quelle di tipo divulgativo.

La vitamina D, la cui forma maggiormente importante è la D3 o colecalciferolo, viene prodotta nel nostro organismo a partire dal colesterolo sotto l’azione della luce solare che inonda la nostra pelle, attraverso una fase intermedia chiamata previtamina D e l’azione del calore corporeo su quest’ultima. Questa tuttavia non è ancora la forma attiva ma deve subire un doppio processo di trasformazione prima di poter esplicare le proprie funzioni. Ad opera di due enzimi, uno nel fegato e l’altro nel rene viene prima trasformata in 25 OH vitamina D e poi in 1,25 OH vitamina D. Questi enzimi, che prendono il nome di idrossilasi, l’hanno quindi trasformata nel Calcitriolo, anche se un una idrossilasi concorrente nel rene può tendere una trappola formandosi invece la 24,25 OH vitamina D che è inattiva. In realtà il percorso fatto dalla vitamina D, dalla sua formazione alla sua funzione, è cosparso di trappole. Il che spiega come mai tante persone che si espongono correttamente ad irradiazione solare, per non parlare di quelle che ciò non fanno, hanno bassi valori di vitamina D e che sia studi epidemiologici che nella mia pratica clinica la percentuale di soggetti con ipovitaminosi D sia estremamente elevata.

La radiazione solare efficace è quella nel campo delle radiazioni ultraviolette B, con lunghezza d’onda compresa tra 290 e 315 nanometri, al di sotto quindi dello spettro del visibile. L’eccesso di esposizione al sole non determina un incremento ulteriore della vitamina D in quanto l’abbronzatura è dovuta alla melanina che funge da filtro naturale per queste frequenze dello spettro. Un soggetto non abbronzato è, quindi, in grado di attingere al proprio colesterolo ematico per produrre 30 µg di vitamina D (1200 UI) per ogni metro quadrato di superficie esposta per il tempo necessario a che essa si arrossi. Come detto la via della vitamina D è piena di trappole e già qui ne vediamo alcune; poco sole, poca superficie esposta poco sole o con raggi troppo incidenti.

Poiché il colecalciferolo per raggiungere il fegato e successivamente il rene, ma anche altri organi, necessita, in via prioritaria, di un trasporto attivo si deve legare a delle proteine del gruppo delle albumine (VDBP o Vitamin D Binding Protein), prodotte dal fegato. Una loro carenza o una alterazione della funzione epatica influenzerà negativamente l’azione di questo ormone.

Ma le trappole che il colecalciferolo (la D3) deve evitare per cominciare ad agire non sono finite. I due enzimi che la attiveranno, uno a livello epatico e l’altro renale, sono due idrossilasi che necessitano del magnesio come attivatore e, al loro interno, di un atomo di ferro. Il magnesio è un elemento estremamente importante per moltissime funzioni, tra cui spicca la corretta contrazione cardiaca, e il nostro sistema di controllo fa si che non manchi praticamente mai nel flusso sanguigno pur essendo deficitario in settori meno importanti per la sopravvivenza immediata, come ad esempio l’attivazione della vitamina D. È per questo che negli esami del sangue non si troverà mai, o quasi mai, con valori inferiori alla norma. Ma questo non vuol dire che ce ne sia abbastanza per attivare la vitamina.

Altra trappola è rappresentata dal tessuto adiposo, quello bianco, cosiddetto cattivo. La vitamina D è liposolubile (non si scioglie in acqua bensì in oli) e quindi le cellule del grasso, gli adipociti ne fanno incetta e lo “sequestrano” al loro interno, causando, tra l’altro, un incremento della loro secrezione di leptina (che stimola la fame) portando, quindi, ad un ulteriore incremento ponderale. È per questo che numerosi studi epidemiologici hanno correlato valori di 25OH vitamina D nel sangue all’eccesso ponderale.

La vitamina D, una volta attivata, viene indicata con il nome di Calcitriolo (1,25 OH Vitamina D) e svolge una funzione ormonale attivando dei recettori (VDR) presenti in tantissime cellule. Agisce, tra l’altro, stimolando l’assorbimento di calcio e fosforo a livello intestinale e la sua sintesi è stimolata con un meccanismo a feed-back dal paratormone (poca vitamina D: più paratormone; meno paratormone: ridotta sintesi della vitamina D attivata) e dalla prolattina con un meccanismo di inibizione diretta (se la prolattina aumenta diminuisce l’attivazione della vitamina D). Quest’ultimo meccanismo spiega, almeno in parte, l’osteoporosi secondaria indotta da farmaci anticonvulsivanti ed antidepressivi.

Ma la vitamina D, se in eccesso, è tossica? Nella mia personale esperienza con Pazienti che, affidandosi al protocollo del prof. Cicero Coimbra per la cura della sclerosi multipla, assumevano tra le 80.000 e le 250.000 UI di vitamina D al giorno, non ho rilevato effetti collaterali gravi tranne che un effetto paradosso di osteoporosi secondaria. Tuttavia l’eccesso di assorbimento di calcio deve essere contrastato con una sua riduzione e l’aumentata richiesta di magnesio per l’attivazione della vitamina, per non influire negativamente su altri sistemi, deve essere controbilanciata con una adeguata supplementazione di questa sostanza. Infine la possibilità di sviluppo di calcoli a livello renale deve essere prevenuta con una riduzione di cibi contenenti acido ossalico che, unendosi con il calcio, forma ossalati di calcio, in assoluto i più comuni e frequenti tipi di calcoli.

L’effetto paradosso di quelle così elevate dosi di vitamina D3 è causato dall’azione ormonale della vitamina sugli osteoblasti ove sono presenti dei recettori, l’attivazione dei quali comporta la produzione di una sostanza ( il RANKL ) che attiva le cellule del riassorbimento ( gli osteoclasti ). La saturazione di questi recettori causa uno squilibrio nel rapporto riassorbimento/ricostruzione del tessuto osseo.

La vitamina D va sempre misurata (l’esame viene indicato come 25 OH Vitamina D) per verificarne la sufficienza e per monitorare la sua supplementazione. Sono tanti i passaggi infatti cui è sottoposta per cui la somministrazione non può essere standardizzata. Alcune persone raggiungono valori adeguati ( io consiglio nella terapia dell’osteoporosi di raggiungere valori compresi tra 80 e 100 nmol/ml ) anche con somministrazioni mensili, pur se molto raramente, mentre altri necessitano di somministrazioni quotidiane; e nel mezzo ci sta tutto.

Talvolta può essere difficile orientarsi tra i valori di riferimento dei laboratori. Questi possono essere espressi in ng/ml o più spesso in nmol/ml, ingenerando talvolta confusione. Questi valori possono però essere agevolmente confrontati moltiplicando per 2,5 i valori in ng/ml ottenendo così il valore corrispondente in nmol/ml.

La vitamina D3, il colecalciferolo, viene espressa come UI; ogni UI corrisponde a 40 mcg, così che, ad esempio, 5000 UI corrispondono a 125 mcg.

Dott. Gianfranco Pisano Laureato in Medicina e Chirurgia all’ Università la Sapienza Roma Master in Medicina dello Sport, Università di Siena Master malattie metaboliche dell'osso, osteoporosi, Università di Firenze Master Fitoterapia, Università di Trieste e Computense di Madrid

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