Osso e grasso ovvero cosa unisce questi due tessuti?

Gli effetti del tessuto adiposo sullo scheletro sono mediati da molti fattori, meccanici e biochimici.

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Ad oggi assistiamo ad un drammatico incremento dei soggetti obesi il cui numero è raddoppiato negli ultimi 30 anni così che l’obesità, a buon diritto, rappresenta una delle pandemie silenziose, ed è la causa di morte di circa 3 milioni di persone l’anno nel mondo.

Gli effetti del tessuto adiposo sullo scheletro sono mediati da molti fattori, meccanici e biochimici. Infatti studi condotti sulla struttura del tessuto osseo non hanno prodotto risultati univoci. L’obesità sembra avere effetto positivo sulla resistenza scheletrica, ma i soggetti obesi potrebbero correre maggiormente il rischio di alcuni tipi di fratture a causa del maggior carico meccanico, della sarcopenia frequentemente associata, della possibile riduzione dell’equilibrio, della limitazione dell’attività fisica con scarsa produzione di irisina (che tra l’altro può innescare un circolo vizioso con incremento del grasso giallo e riduzione di quello bruno) e dell’infiammazione sistemica di bassa intensità che si osserva prevalentemente nelle persone che presentano un incremento significativo del grasso addominale. Spesso inoltre, sottoponendosi a diete drastiche, importanti perdite di peso causano anche perdita di massa ossea.

Ma, al di là del carico meccanico, quali sono i meccanismi che regolano il rapporto tra tessuto osseo ed adiposo?

La leptina è una molecola fulcro in questo rapporto, anche se la sua funzione è ancora da definire completamente. È prodotta dagli adipociti e contribuisce a determinare il senso di sazietà agendo sull’ipotalamo. In vitro, la leptina stimola la differenziazione delle cellule stromali in osteoblasti, ne aumenta la proliferazione e inibisce l’osteoclastogenesi, senza tuttavia alterare gli osteoclasti maturi.

Ma l’adiposità è anche associata a citochine proinfiammatorie come TNF-a e IL-6. Il TNF-α stimola l’osteoclastogenesi (tramite l’attivazione di NFκB) e l’IL-6 innesca un circolo vizioso attivando il PPARγ (peroxisome proliferator-activated receptor gamma) che indirizza la maturazione delle cellule stromali in adipociti invece che condrociti o osteoblasti. Le citochine proinfiammatorie prodotte dal tessuto adiposo (e quello viscerale è biochimicamente più attivo di quello bruno) incrementano la formazione di un enzima che attiva il cortisolo il quale influisce negativamente sulla microarchitettura ossea.

Il tessuto adiposo in eccesso può causare carenza di vitamina D disponibile probabilmente a causa del suo sequestro nelle riserve di grasso corporeo. È stato infatti notato che la carenza di vitamina D è più comune negli individui patologicamente obesi influenzando la funzione delle paratiroidi e causando un iperparatiroidismo secondario. L’integrazione con vitamina D, inoltre, è più efficace nell’aumentare i livelli sierici nei bambini e negli adulti non obesi rispetto agli obesi; e ciò deve essere tenuto presente nelle modalità temporali di somministrazione della vitamina D.

L’obesità, nonostante lo stimolo meccanico di incremento della gravità cui il tessuto scheletrico è sottoposto, è associata a un basso ricambio osseo valutato attraverso i marker di turnover osseo. Infatti dati provenienti da studi su animali indicano che l’obesità indotta diete ad alto contenuto lipidico, nonostante induca una maggiore massa ossea, probabilmente causata da un aumento del carico meccanico, porta a una riduzione della formazione ossea. Questo è associato ad un aumento di adiposità del midollo osseo. Negli studi che hanno preso in considerazione la struttura cellulare dell’osso, l’obesità ha dimostrato di indurre una minore superficie osteoblastica, ed una bassa attività osteoblastica, sebbene senza cambiamenti nel processo di mineralizzazione, potendosi quindi presupporre una azione negativa non tanto sulla mineralizzazione quanto sulla qualità della struttura ossea. Infatti, dati derivati dallo studio di un gruppo di 1924 donne di varia etnia, sono stati analizzati e hanno dimostrato che l’obesità è sì associata ad un aumento della massa ossea, ma anche ad una minore resistenza ossea rispetto al carico, con maggiore rischio di frattura e maggiori forze d’impatto nelle cadute. Carichi più elevati applicati dal peso corporeo superiore possono contribuire ad aumentare il rischio di fratture durante determinate attività.

È interessante notare che le differenze nella distribuzione del grasso sembrano essere importanti per la salute dello scheletro. Due recenti studi del 2017 hanno mostrato che l’obesità addominale è essere associata ad una probabilità più alta di frattura dell’anca. I soggetti che presentavano una circonferenza della vita superiore a 105 cm avevano un rischio del 55% più alto rispetto a quelli con una circonferenza della vita inferiore a 80 cm indicando, quindi, che una circonferenza di vita maggiore e il rapporto vita-fianchi più alto causavano un maggiore rischio di frattura dell’anca. La differenza di effetti sulla probabilità di fratture del grasso viscerale rispetto a quello sottocutaneo sull’infiammazione sistemica cronica ma di bassa intensità (inflammaging) potrebbe essere il fattore causale alla base di questo risultato.

Sarà importante valutare l’effetto delle terapie mediche e chirurgiche per la perdita di peso sulla salute del tessuto osseo. Questo l’oggetto di un prossimo articolo.

 

Dott. Gianfranco Pisano Laureato in Medicina e Chirurgia all’ Università la Sapienza Roma Master in Medicina dello Sport, Università di Siena Master malattie metaboliche dell'osso, osteoporosi, Università di Firenze Master Fitoterapia, Università di Trieste e Computense di Madrid

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