Carenza di iodio, come integrarlo

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Risale agli antichi cinesi l’osservazione che il gozzo poteva essere curato grazie ad alimenti come spugne e alghe, ricche di iodio. Si capì solo verso il 1830 che l’ingrossamento della tiroide – il gozzo appunto – era legato, soprattutto in alcune zone, alla carenza endemica di questo microelemento nell’acqua. Si cominciarono a sperimentare limitate forme di integrazione. Dopo fasi alterne in cui il ricorso allo iodio fu quasi abbandonato per gli effetti dei sovradosaggi, nel 1917 finalmente fu chiaro che l’uso diffuso di sale iodato, nelle aree dove la malattia era ormai endemica, sarebbe stato efficace nel prevenirla (Rosenfeld, 2000).

Iodio essenziale per gli ormoni tiroidei

Lo iodio è un elemento essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei (T4 e T3 – tetraiodotironina e triiodotironina), che sono coinvolti in molte funzioni metaboliche e legate alla riproduzione ed alla crescita.

Si trova naturalmente nel terreno sotto forma di sali (ioduro e iodato) che, essendo solubili, vengono drenati dalle acque e assimilati dalle piante per entrare quindi nella catena alimentare degli animali e dell’uomo. Il fabbisogno è elevato soprattutto nel neonato e nelle donne in particolari periodi, come gravidanza e allattamento quando la quantità necessaria quasi raddoppia.

Una dieta equilibrata arriva a coprire fino al 50% dell’assunzione consigliata, ma il contributo dei diversi alimenti può differire in funzione della zona di provenienza, anche a parità di alimento. I vegetali, compresa la frutta, in generale, non forniscono un contenuto sufficiente di iodio; carne, latte, uova e pesce sono invece la fonte più importante.

La quantità di iodio dipende comunque dalle condizioni di crescita e allevamento degli animali, cioè dalla disponibilità di iodio nelle loro fonti alimentari; l’apporto da frutti di mare e pesce d’acqua salata è naturalmente elevato, data la provenienza (50-100 microgrammi/100g); mentre quello da pesce d’acqua dolce e da carne è generalmente inferiore e dipende molto dalle condizioni e dai luoghi di crescita o di allevamento.

Negli ultimi decenni sono state adottate, con successo, politiche alimentari che hanno consentito l’integrazione di iodio in alimenti trasformati. L’apporto raccomandato è pari a 150 microgrammi per gli adulti e 90 microgrammi nei bambini (sotto i due anni) al giorno (250 microgrammi/die in gravidanza e allattamento).

Carenza senza sintomi: ecco chi ne soffre di più

L’aggiunta di iodio al sale per consumo alimentare umano è la strategia mondiale maggiormente raccomandata. Oggi, in Europa e in molte regioni in cui è stata applicata, si può dire che sia riuscita a sradicare i principali disturbi legati alla carenza. In Italia la legge prevede la vendita di sale con aggiunta di 30 microgrammi di iodio per grammo di sale.
Rimane una misura importante per un’adeguata esposizione allo iodio. “Nonostante alcune preoccupazioni legate ad alti rischi di esposizione allo iodio (ipertiroidismo, autoimmunità tiroidea e relativo aumento del rischio di cancro alla tiroide), i benefici superano i rischi” si legge in un lavoro del Dipartimento di Medicina dell’Università di Bari insieme all’IRCCS Saverio de Bellis, pubblicato da Nutrients.
Malgrado il notevole miglioramento rimane tuttavia una carenza subclinica di iodio anche in Europa occidentale, specialmente in alcune categorie di popolazione particolarmente esposte: le donne in gravidanza e allattamento e nelle persone che seguono diete squilibrate a base vegetale o a basso contenuto di sale. Per questi casi, concludono gli esperti, potrebbero essere pensate delle strategie di integrazione laddove il solo sale iodato si riveli insufficiente a fornire livelli di iodio adeguati a scongiurare il rischio di una carenza e dei conseguenti problemi fisiologici.

fonte: Farmacista33

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