“GODERE DA MORIRE”: LA PERVERSIONE SESSUALE!

Intervista al Dott. Nicola Ghezzani - Psicoterapeuta e Scrittore

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Riferendosi a comportamenti sessuali definiti “spregiudicati”, alcuni associano la perversione sessuale, a mio parere inappropriatamente, alla “trasgressione”. Ma… se trasgredire significa oltrepassare i limiti del lecito, chi stabilisce cos’è lecito e cosa no? E, dunque, in cosa si differenzia la spregiudicatezza dalla “normalità” in un ambito tanto intimo?

Consenzienti i partner, tra le lenzuola o in altro luogo altrettanto privato, non esistono regole, pertanto è antitetico il concetto di trasgredire ad un qualcosa che regolamentato non è.

Diffusa è la credenza che – per lecito – si consideri esclusivamente quanto attenga strettamente al coito atto alla procreazione e, per logica deduzione, qualsiasi altro gioco erotico sarebbe imputabile a “devianze”. Mi pare una convinzione limitante e culturalmente riduttiva dato che non considera le tradizioni di altre civiltà. Vi sono popolazioni che perseguendo la loro “normalità”, sovvertono il nostro criterio di “decenza sessuale”.

Fare sesso, così come fare l’amore, a prescindere dall’intensità dei sentimenti, è un’ esplosione di pulsioni fisiche e mentali… è liberazione dell’istinto allo stato puro. Chi può stabilire cos’è “normale”, “trasgressivo” o “perverso”nel rapportarsi nell’intimità di una coppia? A mio parere, costituisce perversione la mancanza di consenso fra i partner, ovvero quando subentra la prevaricazione psicologica e/o fisica dell’uno sull’altro. Una vera e propria violenza.

Tuttavia, se da un lato ritengo imprescindibile che ogni coppia detenga l’assoluta libertà per raggiungere il proprio massimo godimento, certamente non tendo a sottovalutare la pericolosità di alcune pratiche sessuali.

Mi chiedo cosa possa indurre una persona a mettere a repentaglio sia la propria vita che quella del partner per sublimare il piacere, così come non trovo condivisibile procurare o farsi procurare dolore fisico ed umiliazioni psicologiche e corporali, ma la realtà è che per molti individui è l’unico comportamento davvero appagante. E’ forse questa la perversione? Cosa si cela in queste persone?

Rivolgo queste ed altre domande al Dott. Nicola Ghezzani – Psicologo e Scrittore – che gentilmente mi ha offerto la sua disponibilità ad affrontare l’argomento.

Daniela Cavallini:

Dott. Ghezzani, grazie per essere disponibile ad affrontare con me il delicato tema della perversione sessuale, che – drammaticamente – non esclude vittime. Il bondage, le fascette elettriche ed altri strumenti di tortura, riscontrabili in “50 sfumature”, sono oggetti “migrati” da tabù ad argomenti di conversazione. La prima domanda che Le pongo è: che cosa s’intende per perversione sessuale?

Dott. Nicola Ghezzani:

Cara Daniela, non sono del tutto convinto di farle un piacere nell’accompagnarla nei labirinti tenebrosi della perversione sessuale. Mi sento come Virgilio che conduce Dante nei gironi più abissali dell’Inferno; e le assicuro che l’Inferno non è una bella vista! Quindi, della perversione vorrei parlare solo per cenni, fornire una mappa, senza entrare troppo nel territorio. La perversione sessuale non ha nulla di romantico; anzi, spesso è cupa, noiosa, triste; ma soprattutto mira a compiere una distruzione. Il fatto che molti divulgatori e persino molti psicologi impostino l’argomento entro i limiti della coppia sottintende lo scenario del “gioco erotico” piuttosto che della perversione sessuale vera e propria, della perversione “forte”. La perversione, come Lei giustamente sottolinea, non ha niente a che fare né con la trasgressione occasionale, né con la sperimentazione di varianti della sessualità, né col gioco erotico. Dirò di più: nella sua struttura di fondo, la perversione sessuale non ha niente a che fare nemmeno con la coppia! Il suo bersaglio non è la coppia!

Parto subito da questa precisazione, da psicopatologo quale io sono: la perversione sessuale non trova né la sua origine né la sua ragion d’essere all’interno della coppia, né in una qualunque relazione interpersonale, bensì nell’individuo solo con se stesso. La perversione è fondamentalmente una deviazione solitaria. Potremmo dire che nasce da un narcisismo incompiuto, rimediato e distorto. O, nel mio linguaggio psicologico dialettico, che nasce da un Io antitetico ipertrofico rispetto all’Io originario. Pensiamo a qualcuna delle perversione più inquietanti: la pedofilia, la necrofilia, la zoofilia, il feticismo: sono pratiche che non presuppongono alcuna coppia, ma solo un soggetto attivo nei confronti di un oggetto ridotto in stato di passività: una vittima nel caso della pedofilia, un “oggetto animato”, come gli animali, nella zoofilia, un “oggetto morto”, il cadavere, nella necrofilia, e un “oggetto inanimato”, il feticcio, nel feticismo. Pensi anche all’esibizionismo e al voyerismo che sono rispettivamente l’esposizione sessuale di fronte ad occhi estranei e l’atto solitario del guardare l’azione eccitante compiuta da altri. Il minimo comun denominatore di tutte queste perversioni non è il rapporto con una persona, come parrebbe per alcune di esse, bensì il rapporto con una parte di se stesso, il rapporto di sé con sé. Il partner – più o meno consenziente – vi figura solo come mezzo per raggiungere questo rapporto con se stesso.

Fatta questa premessa, le darò la mia definizione personale di perversione, che si articola in un teorema e in due corollari. Partiamo dal corollario più semplice: si ha perversione sessuale quando la pratica sessuale che una, due o più persone pongono in essere è intesa alla prevaricazione di altre persone, rese oggetto dell’azione. Questo è il corollario: si tratta di una definizione semplice e condivisibile, persino banale, infatti è la più diffusa: in fondo ricalca la famosa massima di Kant per la quale l’essere umano deve essere un fine, non un mezzo. Enuncio ora il secondo corollario: si ha perversione quando le persone coinvolte nella pratica sessuale provano un dolore morale inatteso e la compulsione a reiterare l’azione per sfuggire a questo dolore: esse sembrano del tutto consapevoli della pratica perversa e delle sue conseguenze, eppure giungono a risultati inattesi, nei quali il dolore morale supera di gran lunga il piacere fisico e psichico desiderato. Questo secondo corollario è fondamentale per chi come me pratica una psicoterapia dell’inconscio, perché in questo caso l’inconscio dei soggetti prevarica la loro stessa coscienza: mentre credono di fare qualcosa, in realtà l’inconscio li ha condotti a fare qualcos’altro, e il dolore morale che provano è il segno di questa prevaricazione non consapevole, sfuggita al loro controllo. A questo punto la reiterazione dell’atto è indispensabile a rimuovere il dolore e a riprovare la sensazione di controllo e di allentamento della tensione che nasce dall’azione. E arriviamo ora al teorema, che mostra in tutt’altra luce rispetto al senso comune i due corollari che l’hanno preceduto, teorema che ho già anticipato: l’oggetto della perversione non è un partner, è se stesso, per l’esattezza un sentimento all’interno del Sé. Questo è il teorema fondamentale. Chi non lo comprende non è in grado di fare psicoterapia della perversione sessuale, né della perversione morale. La terapia comportamentale, per esempio, si ostina a raddrizzare un comportamento relazionale visibile, mentre il vero oggetto della perversione è nascosto all’interno del Sé.

Daniela Cavallini:

Che cosa induce l’individuo alla perversione?

Dott. Nicola Ghezzani:

La perversione sessuale è una difesa dal dolore sofferto nella relazione affettiva primaria, dolore suscettibile di essere riattivato in ogni successiva relazione. Essa cristallizza il dolore in uno schema, un “rituale”, che lo controlla e lo rende gestibile attraverso un’azione.

Per restare all’interno della concettualizzazione freudiana, che è la più utile ai fini della comprensione della perversione, il soggetto perverso controlla la sua “pulsione di morte” mettendola in scena in un rituale sessuale. A questo proposito varrebbe la pena rileggere con attenzione, cioè in un’ottica “moderna”, Al di là del principio del piacere”, uno scritto di Freud del 1920, nel quale Freud parla appunto della “coazione a ripetere” come controllo della pulsione di morte: un concetto geniale. Trentacinque anni di pratica clinica, di cui una gran parte dedicati ai disturbi dell’affettività e della sessualità, mi hanno portato alla conclusione che nella perversione sessuale è di scena la morte piuttosto che la vita.

Ma questo non riguarda solo la sessualità. Come ho detto anche la perversione morale ha la stessa finalità: pone l’accento sulla mortificazione propria o dell’altro, comunque sulla violazione protratta di un valore emotivo fondamentale. L’unica differenza dalla perversione sessuale è che nella perversione morale l’azione avviene entro lo scenario affettivo piuttosto che in quello sessuale.

Io ipotizzo l’esistenza di un’altra perversione che ho chiamato perversione riproduttiva, che secondo le mie previsioni diventerà uno scenario molto diffuso nel corso di questo secolo. Le faccio un esempio di perversione riproduttiva: una donna, che si mostra innamorata del marito, ha per amante un vecchio amico di famiglia, buon amico anche del marito. La coppia ha già un figlio, ma il marito propone alla moglie di averne un altro. La donna, che è traumatizzata da un tumore appena superato, espone all’amante il suo piano: lei farà il figlio con lui, ingannerà il marito facendogli credere di essere il padre, e l’amante, essendo amico di famiglia, potrà assistere dal vivo alla crescita del bambino. Il piano della donna si arresta grazie al rifiuto opposto dall’amante, che, temendo ripercussioni future, la allontana per sempre.

Il tema dell’utero in affitto, legale in alcuni Stati, dovrebbe essere riletto alla luce del mio concetto, appena enunciato, di perversione riproduttiva, nella quale una coppia (eterosessuale o omosessuale è lo stesso) promuove un concepimento e una nascita a danno di una madre naturale e del suo bambino, che vengono separati, quindi ridotti a oggetto di transazione commerciale.

C’è poi quella che io chiamo perversione per procura. Un esempio. Una donna genera un figlio all’interno di un rapporto precario. Lei è una femminista di classe elevata e disprezza il compagno di bassa estrazione culturale e sociale, perché lavora dalla mattina alla sera. Lo lascia pochi anni dopo la nascita del bambino. Da quel momento ha rapporti confusi con molti uomini. L’ultimo partner è un senegalese conosciuto per caso in un centro di accoglienza. Lo porta in casa e avvia una convivenza. Impegnata con le sue riunioni al collettivo, spesso affida il bambino al compagno senegalese. Quando il bambino ha raggiunto gli otto anni le confida che l’uomo ha più volte abusato di lui. Attraverso la separazione e il sistematico abbandono del bambino, la donna aveva delegato la sua perversione morale e sessuale a un uomo (in sostanza uno sconosciuto).

Se pensiamo con attenzione alla perversione morale, a quella riproduttiva e a quella per procura, allora ci possiamo rendere conto che il termine perversione non può essere sostituito, come fa il DSM IV, con il termine parafilia, perché la perversione è in realtà una deviazione generale dell’identità, non solo sessuale. Possiamo inoltre renderci conto che la perversione non riguarda solo gli uomini, come si tende a credere tutt’oggi, ma anche le donne. Con la differenza che, per circostanze biologiche e antropologiche intuibili, gli uomini la esprimono soprattutto in campo sessuale, le donne in campo riproduttivo, e quando lo fanno in campo sessuale lo fanno partecipando a uno scenario maschile oppure manipolando un uomo fino a spingerlo nella direzione voluta.

Daniela Cavallini:

Possiamo considerare il bisogno di alcune pratiche sessuali alla stregua delle dipendenze?

Dott. Nicola Ghezzani:

Come dicevo, la perversione sessuale è un rituale il cui fine è il controllo della pulsione di morte, cioè di un intenso dolore mentale rimosso. Il perverso sessuale non può fare a meno del suo scenario sessuale, è costretto a porlo in essere, pena il rischio dell’angoscia e della disgregazione dell’Io. Si tratta di una dipendenza delle più irriducibili: non è una dipendenza da un partner (come nella dipendenza affettiva); è piuttosto una dipendenza da un gesto, da un rito, da una situazione, una dipendenza che può talvolta coincidere con il partner che la soddisfa, ma non preso come persona, bensì come strumento. Il partner del perverso non è una persona completa; è un mezzo per raggiungere un fine, come il pusher che rende possibile l’accesso a una droga.

Delle dipendenze affettive e della loro componente perversa, soprattutto sadomasochista, ho parlato in molti dei miei libri. Ne cito tre: “Volersi male”, “Quando l’amore è una schiavitù”, “L’amore impossibile”. Sono stati e sono tuttora dei “successi”, segno che il tema della sofferenza affettiva e sessuale è una grande emergenza contemporanea. Nella stessa misura in cui la relazione affettiva riattiva l’angoscia primaria e genera paura e conflittualità, crescono anche la dipendenza, la controdipendenza, l’anoressia sentimentale (cui ho dedicato il libro “La paura di amare”), la perversione morale e sessuale.

Daniela Cavallini:

Nell’introduzione mi sono riferita all’erotismo di coppia etero, tuttavia, il gioco erotico “estremo” è riscontrabile anche in coppie omosessuali oltreché in condizioni solitarie o addirittura di gruppo – le orge – Che cosa distingue, dal punto di vista concettuale, una pratica sessuale altamente disinibita dalla perversione?

Nicola Ghezzani:

Una pratica sessuale disinibita non perde mai di vista il fatto centrale che il suo oggetto è la persona umana. Quindi anche quando sia “estrema” il conto finale non coincide mai con l’umiliazione senza scampo e la distruzione morale dell’altro, bensì con un suo arricchimento. Nel gioco erotico si scoprono nuovi aspetti del proprio Sé e di quello del partner: il suo fine è di aumentare la libertà e la conoscenza reciproca, quindi la felicità. Al contrario, la perversione produce sempre una drastica diminuzione della libertà, perché l’atto è ritualizzato e costrittivo, e un altrettanto drastico oscuramento della conoscenza reciproca, cui si sovrappone la rimozione dei sentimenti, in particolare dei sentimenti affettivi e amorosi. Quindi, mentre il gioco erotico è in grado di aumentare la felicità dei due partner, la perversione produce solo infelicità, più o meno cristallizzata e più o meno cosciente.

Gli effetti della perversione sull’identità sono massicci: essa crea infatti individui, coppie e comunità erotiche estranei a quello che Eraclito chiamava il Logos Xunos, la lingua comune dell’umanità. Al contrario il gioco erotico aiuta a comprendere almeno due aspetti fondamentali della lingua erotica comune a tutta l’umanità: che la libertà è piacevole e che la conoscenza reciproca sempre più intima genera amore.

Daniela Cavallini:

Ogni coppia ha la propria intesa sessuale che si suppone non sia priva di “giochi erotici” e, più è elevata la sintonia più si ignorano i rischi dell’escalation del piacere. Pertanto, com’è possibile individuare – nella coppia stessa – la predisposizione alla pericolosità che – seppur consenzienti entrambi i partner – non la rende immune dalle conseguenze?

Dott. Nicola Ghezzani:

La perversione si annuncia attraverso l’esperienza dell’umiliazione. Se uno dei due partner si sente umiliato e da ciò gli derivano vergogna, rabbia, depressione e l’altro partner non dà segno di volerlo intendere siamo vicini alla perversione. Per esempio, mi capita frequentemente di sentire che un partner invita l’altro ad avere rapporti sessuali con figure terze e che questo genera nel partner che riceve la proposta sia compiacenza che una umiliazione più meno manifesta. La perversione comincia quando uno dei due acquista potere a spese dell’altro e di questo potere ne fa un uso umiliante. L’uomo che vuol coinvolgere la compagna un po’masochista a sottomettersi a rapporti di gruppo; la donna che intimorisce l’uomo fino a fargli perdere la potenza sessuale e lo umilia ogni volta che lui “fallisce” sono annunci di una possibile perversione. In entrambi i casi è in atto una persuasione perversa, quindi una presa di potere a danno del partner. In altri casi sembra esserci una condivisione paritaria perfetta, ma in realtà dopo l’atto perverso entrambi i partner provano un enorme dolore morale: ne deduciamo che è il loro inconscio ad averli spinti ad essere distruttivi nei confronti di una parte del loro Sé. Credevano che l’azione li avrebbe gratificati, invece scoprono di avere un senso morale che è rimasto ferito.

Daniela Cavallini:

Le pratiche sessuali, più o meno ascrivibili alla perversione sono tante – almeno tante quante le fantasie erotiche – tuttavia, se alcune possono essere solo “inaccettabili”, per disgusto personale, moralismo o inibizione atavica, come ad esempio il bukkake, la sitofilia o il nyotarimari, altre sono davvero pericolose. Una su tutte il kimbaku, ovvero raggiungere l’orgasmo tramite strangolamento.

Dott. Nicola Ghezzani:

Nell’attività sessuale intensa c’è sempre il momento in cui l’Io si disintegra nell’estasi orgasmica, la quale è accompagnata sia da sintomi fisici, come il debito di ossigeno o una momentanea sensazione di svenimento, sia da sintomi psichici come la diluizione dell’Io in un sentimento di infinito. In un certo senso, l’orgasmo trasforma la fantasia di morte in una nascita ad una dimensione più vasta. Coloro che non riescono a vivere spontaneamente questa esperienza, possono essere portati a procurarsela in modo artificiale, mediante un’azione strumentale. Quella del kimbaku (l’orgasmo indotto mediante restrizione delle vie respiratorie) non è una perversione strutturata; è piuttosto una pratica perversa messa a servizio di un rapporto anorgasmico, cioè carente di eccitazione e di estasi. Ovvio che persone inesperte o anche animate da un inconscio impulso distruttivo o autodistruttivo possono farsi molto male. Direi che si tratta di una patologia perché elude il problema centrale: come mai questa coppia non riesce a vivere la stessa esperienza in modo genuino, naturale, aperto sulla trascendenza e sull’infinito?

Daniela Cavallini:

Se il masochismo è una tortura che riguarda se stessi, pertanto una scelta personale, come si concilia il sadismo con l’amore in un rapporto di coppia? Intendo dire come si può procurare dolore a qualcuno che si ama?

Dott. Nicola Ghezzani:

Noi procuriamo sempre dolore a chi amiamo. E’ inevitabile. Più la vita dell’altro dipende da noi, più noi possiamo commettere sbagli o usare il nostro ascendente, il nostro potere per ferire. Amare (e proprio in questo l’amore è diverso dall’innamoramento) significa affrontare il rischio del dolore proprio e altrui. Il punto differenziale sta nel fatto che nell’amore quel dolore è trasceso in una più profonda e più costante ricerca del bene della persona amata, quindi del dolore inferto si ha coscienza di colpa, della vulnerabilità del partner si prova commozione, e il dolore dell’amato diventa il nostro personale dolore, da trascendere appunto con atti di riparazione e nella progressione di perfezionamento morale che è la vera posta in gioco di ogni amore. Nell’amore l’empatia è portata al massimo grado di sviluppo.

Nella perversione sadica, invece, la vulnerabilità dell’altro e il suo stesso amore sono l’oggetto di una calibrata volontà di umiliazione, sottomissione, degradazione e distruzione. La persona non viene uccisa, perché l’oggetto di questa volontà sadica non è la persona, è il sentimento. Come dicevo, nel mio teorema, la perversione non ha per oggetto la persona, ma il sentimento, quel sentimento che è costituito come tramite fra l’altro e il Sé. Ci vuole un’arte particolare per suscitare e distruggere un sentimento. Nella pedofilia, per esempio il sentimento oggetto della perversione è la tenera fiducia del bambino, che viene sollecitata per essere poi abusata e torturata. Il sadismo ha alterato il Sé fino a farlo diventare mostruoso.

Ma il perverso sessuale non è necessariamente un criminale, come nel caso della pedofilia o del sadismo grave; è un perverso sessuale (e non un criminale) nel momento in cui non ha di mira la persona, ma l’esistenza e la dignità di un sentimento. Il perverso sessuale, come il perverso morale, deve suscitare quel sentimento e poi umiliarlo, degradarlo, sacrificarlo. Il dio a cui sacrifica il sentimento è la Disumanità, che deve alla fine trionfare.

Dunque, il perverso ha idealizzato un Sé mostruoso o quantomeno abusante, oltraggioso, sprezzante, superiore alla comune umanità, superiore anche quando si pone come soggetto di patimento, come nel masochismo; un Sé che si avverte superiore perché in guerra permanente con la lingua universale delle relazioni affettive. Questo Sé narcisistico nasconde gravi angosce relative alla relazione con se stesso e con gli altri (Masud Khan parla di angoscia di cadere in una dipendenza assoluta). Il Sé narcisista perverso consente il controllo di queste angosce mediante la ripetizione dell’azione rituale.

Daniela Cavallini:

Dott. Ghezzani, lei ha una lunga esperienza sia dei disturbi affettivi che sessuali. Le perversioni sono disturbi piuttosto seri: lei pensa possano guarire?

Dott. Nicola Ghezzani:

Quando il perverso arriva in terapia ha già fatto un grande passo avanti: la sua coscienza morale o la sua angoscia di andare incontro a una disgregazione dell’Io lo hanno spinto a cercare aiuto. Lo psicoterapeuta deve avere una formazione e direi anche un’esperienza di vita tale da scongiurare il rischio di smontare la struttura perversa e far precipitare il paziente in una depressione grave, in un suicidio o in una psicosi.

Insomma, con una perversione sessuale non si può essere generici e superficiali; non si può essere impreparati. Occorre avere una preparazione specialistica. Molti pazienti fuggono dopo tre o quattro sedute perché avvertono il rischio di aprirsi e cadere nel buco nero dell’angoscia, quindi preferiscono restare nascosti a se stessi. Lo psicoterapeuta deve essere in grado di tollerare un certo grado di perversione nel controtransfert e di far emergere solo per gradi le paure che la perversione copre. Nella mia lunga esperienza clinica, mi sono reso conto che la volontà correttiva – sia del paziente che del terapeuta – è un rischio. La guarigione non avviene “correggendo” un comportamento, ma liberando l’energia (il dolore e la rabbia inconsci) poco alla volta, trasformandola, a seconda dei casi, in sopportazione dei vecchi traumi, commozione, rabbia costruttiva, coraggio di coinvolgersi nella vita comune, compassione, creatività, volontà di crescita. E’ un processo lento e laborioso, che diluisce la pulsione di morte e intensifica il piacere di vivere.

Daniela Cavallini:

Ringrazio il Dott. Ghezzani per l’esauriente trattazione di un argomento molto più complesso di quanto comunemente si creda.

E’ un’entusiasta! La caratterizza lo spiccato desiderio di comunicare. Nel suo percorso professionale ha ricoperto posizioni di responsabilità nel settore Education nell’ambito di Società Multinazionali, erogando corsi di Addestramento e Formazione – Aziendali ed Interaziendali - al Personale Commerciale. Successivamente, Daniela è migrata al mondo dell’imprenditoria. Con l’eclettismo che la contraddistingue, da alcuni anni è ritornata al suo primo amore: l’arte. È un’apprezzata astrattista che ama trasporre su tela le sue sensazioni. Contestualmente, da alcuni anni si è dedicata alla scrittura pubblicando e-book ad indirizzo formativo e curando per alcune testate giornalistiche rubriche inerenti psicologia, comunicazione, problematiche di coppia, salute e bellezza.

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