Bambini in ospedale: la Play Therapy. Il gioco in ospedale come strumento di cura.

"Fare in modo che i bambini siano messi in condizione di giocare è di per sé una psicoterapia che ha applicazioni immediate ed universali" (D.W. Winnicott, 1971).

tagmedicina,gioco
- Adv -

Il gioco costituisce un elemento essenziale nello sviluppo affettivo e cognitivo del bambino e la sua evoluzione accompagna la crescita e la rende possibile: dal gioco senso motorio del neonato, al gioco simbolico e di finzione, dal gioco solitario al gioco in parallelo fino al gioco in gruppo. Le principali funzioni del gioco sono:

  • Esprimere e comunicare sentimenti ed emozioni altrimenti difficili da manifestare;

  • Esplorare e strutturare un rapporto con il mondo esterno;

  • Assimilare le esperienze;

  • Scaricare e rilasciare tensioni fisiche e emozioni bloccate;

  • Trasformare conflitti inconsci attraverso meccanismi difensivi che nel linguaggio della psicoanalisi vengono descritti come spostamento e proiezione;

  • Trovare le proprie soluzioni ai problemi e le proprie strategie di confronto con la realtà;

  • Sviluppare aspetti compensatori (nel gioco il bambino può diventare il più forte o il più coraggioso);

  • Esercitare controllo sulle esperienze e acquisire un senso di padronanza su ciò che si è vissuto in totale impotenza;

  • Familiarizzare con situazioni e oggetti potenzialmente stressanti o traumatici;

  • Rovesciare i ruoli e rimettere in scena in maniera attiva ciò che si è sperimentato passivamente.

I bambini che entrano in ospedale vivono un’esperienza emotivamente complessa e critica data dalla malattia e dall’allontanamento dalla famiglia, da casa, dalla scuola, in sintesi dal quotidiano.

Il contesto ospedaliero, in quanto ambiente estraneo in cui vigono ritmi e regole specifiche (con le limitazioni di movimento connesse al luogo) e dove le pratiche mediche ed infermieristiche sono in primo piano, può mettere in crisi il delicato equilibrio legato al processo di crescita del bambino.

Il bambino che vive l’esperienza dell’ospedalizzazione è quindi un soggetto a rischio che ha bisogno di essere sostenuto nella sua globalità. Da qui deriva la necessità di un approccio d’insieme in cui è fondamentale prendere in considerazione sia gli aspetti fisici della malattia sia quelli emotivi, psicologici e relazionali. Nel corso di un’ospedalizzazione diventa essenziale incoraggiare il bambino a mantenere vivo un rapporto con la propria immaginazione, e a canalizzare nelle storie e nei disegni le sue fantasie, paure e i suoi bisogni. La diagnosi, le procedure mediche e il soggiorno in un ambiente non familiare come l’ospedale costituiscono infatti momenti potenzialmente traumatici che minacciano il senso di sé del bambino e la sua fiducia nel mondo. Quando un evento è eccedente alla capacità di elaborazione in condizioni normali, il cervello non riesce ad assimilarlo e ad elaborarlo (correttamente): il trauma causa un’interruzione della normale sistematizzazione adattiva dell’informazione che resta incapsulata in modo disfunzionale nelle reti della memoria. Nel gioco tutto questo si riflette con evidenza: in contrasto con il gioco normale che è dinamico ed espressivo del mondo interno, il gioco post- traumatico è spesso stagnante, carico di ansia, costretto, ripetitivo, rigido, disorganizzato, privo di immaginazione e senza soluzione.

Le memorie vengono immagazzinate in modalità senso motorie, come sensazioni somatiche e immagini visive. Durante un evento traumatico, inoltre, l’area del cervello deputata alle funzioni del linguaggio appare bloccata, limitando la capacità di narrare l’esperienza. Perché queste esperienze possano essere elaborate bisogna quindi muoversi oltre le parole e il linguaggio verbale, aiutando i bambini a recuperare il contatto con le proprie capacità di giocare e di esprimersi.

Diversi studi hanno ampiamente dimostrato che l’attività ludica può aiutare il bambino ad affrontare l’esperienza dell’ospedalizzazione. Il gioco, adattato alla specifica realtà ospedaliera, permette al bambino di dare voce alle proprie emozioni, ai propri pensieri, alle paure connesse sia all’evento malattia sia all’ospedalizzazione.

Con queste caratteristiche il gioco assume valenza terapeutica e diviene “ludoterapia”. Il gioco in ospedale è un vero e proprio strumento di cura nel senso più ampio del termine. La “Play Therapy” o “Terapia del gioco” risulta quindi molto utile per bambini e per ragazzi nei contesti ospedalieri e di ricovero. Questo perché attraverso il gioco non solo il bambino/ragazzo può esprimersi liberamente ma può comunicarci le sue paure, le sue angosce relative ad interventi spesso frequenti in ospedale e, nel caso dei più piccini, attraverso la play therapy, è possibile indagare ed intervenire nel delicatissimo ambito dell’ angoscia da separazione dalle figure di riferimento. In questi casi i giochi possono essere anche giochi di ruolo come il gioco “medico-paziente” e questo può aiutare a preparare il soggetto a visite mediche vissute come stressanti e procedure più invasive. Può essere anche produttivo leggere o vedere filmati insieme al bambino-ragazzo spiegando come avviene una determinata procedura medica e quali sono rispettivamente i rischi e i benefici dei possibili interventi diagnostico-terapeutici modulando, chiaramente, la comunicazione in relazione all’ età del paziente. Quale può essere, in questo contesto, il ruolo dell’ adulto? Essendo innata nei bambini la capacità di ripresa, il ruolo degli adulti è quello di svolgere la funzione “cerotto”: come il cerotto non cura ma protegge e sostiene la parte del corpo ferita mentre questa si cura da sola, così gli adulti possono creare dispositivi per proteggere lo spazio di gioco del bambino e permettergli così di accedere alle proprie risorse. Importante è quindi facilitare il gioco e, quando richiesto, lasciarsi coinvolgere assecondando i bambini senza intervenire in maniera direttiva.

I ricordi e le esperienze difficili possono così essere canalizzate nel gioco anche nel caso in cui il bambino non sia ancora pronto a riconoscerli oppure se le parole falliscono; in questo modo possono trovare una forma ed essere pensate, affinché possa essere riavviato un pieno funzionamento mentale.

Molto importante può essere coinvolgere nelle attività anche i genitori e le sorelle/ fratelli qualora siano presenti, questo perché il bambino si senta in qualche modo protetto e al sicuro: in questi casi la modalità di gioco è “non direttiva” ovvero il materiale può essere selezionato dal play therapist ma sarà il bambino/ragazzo a scegliere poi quali giochi fare. In questo modo, si incoraggia la partecipazione attiva e la creatività che il piccolo paziente può riversare nel gioco. Questi interventi dunque possono essere applicati a diverse situazioni, infatti la terapia del gioco oltre che nei contesti ospedalieri può essere praticata anche nelle scuole, nei contesti residenziali e in tutti i luoghi di cura poiché l’importante è la disponibilità e l’accoglienza del play therapist e uno spazio dedicato al gioco. Emerge dunque che il gioco può aiutare il bambino a superare le sue paure, le situazioni traumatiche e ad esprimere le sue emozioni spontaneamente: è quindi fondamentale per una crescita sana ed equilibrata. Inoltre, la Play Therapy associata a specifiche tecniche di Infant Observation e colloqui psicologici rende possibile il palesarsi e l’ interpretazione non solo di diverse dinamiche familiari e relazionali, ma anche di processi psichici ed intrapsichici del soggetto, permettendo così di progettare interventi di sostegno psicologico adeguati.

Psicologa abilitata presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Iscritta all' Ordine degli Psicologi della Campania n. 9622, Pedagogista Clinica e Mediatore Familiare Sistemico-Relazionale, ha conseguito la Laurea cum Laude in Scienze Psicopedagogiche all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli discutendo la Tesi in Psicologia Dinamica sui Meccanismi di difesa e le dinamiche psichiche del paziente oncologico, dopo aver svolto un tirocinio accademico pre-lauream presso il Dipartimento di Psicologia Oncologica dell’ INT G. Pascale di Napoli. Ha conseguito, inoltre, una seconda Laurea Magistrale in Psicologia Sociale, dei Servizi e delle Organizzazioni approfondendo la Psicologia dei Processi Cognitivi nelle malattie croniche e neurodegenerative con una Tesi sui Disturbi Cognitivi, Affettivi e Comportamentali nella malattia di Parkinson presso l’Università di Roma. Ha svolto un ulteriore tirocinio professionalizzante post Lauream presso la Sede di Napoli dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia (RM) “Polo Clinico Centro Studi Kairos” dove è attualmente in formazione come Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale. Specializzata in Mediazione Familiare e Consulenza di Coppia ad orientamento Sistemico presso L’ Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica di Napoli (IMEPS), inizia nel 2006, la collaborazione in qualità di ricercatrice con l’INT Fondazione Pascale di Napoli che la vede impegnata in Progetti di Ricerca, Educazione e consulenza Socio-Sanitaria nel campo della familiarità dei tumori femminili (Dipartimento di Ginecologia Oncologica). Continua la sua attività di ricerca ed assistenza in ambito psicopedagogico e clinico attraverso interventi di Infant Clinical Observation, Ludoterapia e Supporto alle famiglie, occupandosi dal 2008 di problemi psico-educativi in età evolutiva di bambini figli di pazienti oncologici presso il Servizio Ludoteca (Ambulatorio Famiglia) dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli (Dipartimento di Psiconcologia Clinica). Nel 2015 si perfeziona in ambito Psiconcologico attraverso il Corso di Alta Formazione in Psico-Oncologia dal titolo “La Psicologia incontra l’Oncologia” patrocinato dalla SIPO: Società Italiana di Psiconcologia. Docente e Formatore ha collaborato con la Lega Italiana Lotta ai Tumori- sezione di Napoli- a Progetti di Educazione Socio-Sanitaria e, con la Regione Campania, in Corsi di Formazione Regionali. Relatrice di Convegni e Seminari riguardanti tematiche Psicologiche e Pedagogiche è specializzata, inoltre, nel sostegno di famiglie multiproblematiche e devianti avendo lavorato con nuclei familiari a rischio e con forte disagio socio- economico e culturale della II e III Municipalità di Napoli. Ha lavorato, inoltre, in Progetti nel campo delle disabilità dal 2001 al 2010 (Sindrome di Down e Tetraparesi Spastica). Dal 2008 al 2019 ha esercitato la professione di Mediatore Familiare in autonomia e, su richiesta, in collaborazione con Studi giuridici matrimonialisti. Ha collaborato presso il Centro Nutrizione&Benessere della Dott.ssa Silvana Di Martino sito in Casoria in programmi di Psicologia della Nutrizione, Educazione Alimentare, Formazione e gestione di spazi di Mediazione Familiare Sistemica. Autrice di Articoli sul quotidiano medico on line #TAGMEDICINA, è stata impegnata nella S.C. di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Tumori di Napoli in attività connesse all’ Emergenza SARS CoV-2 da Maggio 2020 a Febbraio 2022. Attualmente lavora con pazienti pediatrici e pazienti adulti in trattamento radioterapico presso la U.O.C. di Radioterapia dell’ INT di Napoli “Fondazione G. Pascale” in qualità di Psicologa.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui