IL DIRITTO DI MORIRE

Oggi “la vita” è gestita direttamente ed esclusivamente dalla legge (ovviamente da una legge democraticamente rispettosa dell’autodeterminazione), perché la legge - recitava Aristotele - è «ragione senza passione».

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Avverto oggi, come mai prima d’ora, l’urgente bisogno di liberare dalle maglie della burocrazia la fine della vita umana: sottrarla del tutto alla logica della compassione e delle emozioni, stabilire con precisione metodi e procedure, garantire alle persone dolenti la certezza che il proprio, insindacabile desiderio di morire sia considerato legittimo e dunque rispettato.
Oggi “la vita” è gestita direttamente ed esclusivamente dalla legge (ovviamente da una legge democraticamente rispettosa dell’autodeterminazione), perché la legge – recitava Aristotele – è «ragione senza passione».
Tuttavia Aristotele era certo, mentre alcuni giudici odierni sembrano non riuscire più a capire, che la legge trova la giusta applicazione solo nell’ambito pubblico della città: le dimensioni della “vita in se’” non sono riducibili solo a dinamiche biologiche, ma hanno un carattere spirituale e personale.
La nascita, l’educazione, la costruzione di una nuova famiglia, la cura dei malati, degli anziani e soprattutto la morte, sono dimensioni in primis private e non pubbliche, perciò vanno affidate a quella logica particolare del rispetto, della cura, delle tradizioni religiose individuali e non alla fredda razionalità delle procedure burocratico-normative.
Tutto ciò che afferisce agli affetti, ai sentimenti, alle emozioni è potente e coinvolgente ed anche se non corrisponde del tutto alla realtà ciò che scriveva Dante: «Amor ch’a nullo amato amar perdona» è pur vero che quando la commozione si unisce alla compassione (cioè al sentire insieme, al patire assieme) la necessaria freddezza del giudizio – soprattutto del giudizio morale – si altera e si deforma.
È questo il motivo per cui, di fronte ad una richiesta di eutanasia – per molti considerato un vero e proprio omicidio “pietoso” – restiamo turbati, senza parole, a volte sconvolti.
Ed è per questo che il più delle volte giustifichiamo, nei confronti di chi abbia ucciso “per pietà”, sentenze mitissime e al limite sentenze indebitamente assolutorie: sono questi i casi in cui noi amministrati, percepiamo tutti i limiti del diritto ed in particolare, quelli del diritto penale.
Oggi, però, il discorso sull’eutanasia si è completamente trasformato: quelli che venivano considerati omicidi “pietosi”, eutanasici, sono diventati sempre più rari.
La medicina palliativa, anche se non è in grado di guarire chi sia colpito da malattie che non danno speranza, riesce però a rendere accettabile la vita dei malati terminali, liberandoli dalle sofferenze più acute ed insopportabili. È per questo che pochi medici sono i destinatari di richieste di morte, da parte di pazienti giunti alla fine della loro vita.
La medicina palliativa ha definitivamente confermato che, se continuano a esistere malati inguaribili, non esistono più malati incurabili: di ogni malato ci si può prendere cura e a ogni malato può essere garantita una morte dignitosa.
Ma il dibattito sull’eutanasia è oggi, più vivo che mai.
Il posto dell’omicidio pietoso è stato occupato da un’altra forma di eutanasia, cioè dal suicidio assistito. Il posto della pietà, motivatrice emozionale dell’azione eutanasica, è stato preso da un motivatore che non ha nulla di compassionevole e di emotivo, ma che è freddamente razionale: il rispetto, al limite dell’ossequio, nei confronti della volontà di fine vita del paziente ( per alcuni, della volontà suicidiaria). Dietro l’eutanasia compassionevole si agitava lo spettro della sofferenza del malato; dietro l’eutanasia, come aiuto al suicidio, si agita lo spettro di un sommo, insindacabile diritto umano, quello all’autodeterminazione, cioè un diritto personale che andrebbe riconosciuto e garantito senza indugi, a prescindere da ogni retorica e da ogni ipocrisia morale.

E' stata Docente di Lettere Antiche presso i Licei di Roma, Assistente di “Paleografia e Diplomatica” presso l’Universita’, Revisore di articoli giuridici ed esegesi delle fonti del diritto presso l’Enciclopedia Giuridica Treccani. Ha perfezionato gli studi con Master e Corsi. Attualmente in Quiescenza, nello Stato si dedica alla libera passione per il Giornalismo e per la Scrittura Creativa

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