Emicrania e “buco del cuore”, nuove evidenze da uno studio italiano

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Diversi studi osservazionali evidenziano una relazione fra emicrania con aura e difetto cardiaco congenito del Forame Ovale Pervio (PFO), comunemente chiamato “buco nel cuore”. Tuttavia, non è mai stato chiarito il meccanismo che lega PFO e il sintomo dell’emicrania con aura. Ora uno studio del Centro Cardiologico Monzino e Università Statale di Milano, pubblicato Journal of American College of Cardiology Basic to Translational Science (JACC BTS), chiarisce questa correlazione analizzando anche le varie possibilità terapeutiche e, soprattutto, chirurgiche.

“Ad oggi, nessuna delle linee guida cardiologiche internazionali include l’emicrania con aura fra le indicazioni per l’intervento di chiusura del PFO. Eppure, si tratta di una patologia invalidante, che in molti casi non risponde ai farmaci e si presenta incessantemente per giorni” spiega Daniela Trabattoni, Responsabile dell’Unità di Cardiologia Interventistica 3 del Monzino, e coordinatrice della parte clinica dello studio “Per questo abbiamo pensato di ricercare il meccanismo fisiopatologico di connessione fra le due patologie, per dimostrare, a livello di meccanismi cellulari, come la chiusura del forame possa di fatto impedire lo scatenarsi delle crisi di emicrania con aura”
“Abbiamo scoperto che il sangue di soggetti con emicrania e PFO presenta un numero elevato di piastrine e di microvescicole che esprimono una proteina -il fattore tessutale- in grado di innescare la cascata della coagulazione e la formazione di trombi” aggiunge Marina Camera, Professore Associato del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Milano e Responsabile dell’Unità di Ricerca Biologia cellulare e molecolare cardiovascolare del Monzino che conclude “Nel nostro organismo l’azione dei radicali liberi è contrastata da sostanze antiossidanti, ma in alcune condizioni, come nei pazienti con PFO, queste possono essere non sufficienti a mantenere un equilibrio ossidativo determinando di conseguenza attivazione piastrinica con formazione di micro emboli”.

Il PFO è una condizione anatomica congenita che interessa un adulto su quattro, ma di per sé non è molto pericolosa. Tuttavia, potrebbe permettere il passaggio di trombi dall’atrio destro a quello sinistro, e così verso il circolo cerebrale, favorendo l’insorgenza di ischemie ed elevando il rischio di ictus. Questo rischio può essere bloccato con gli antiaggreganti oppure intervento chirurgico di chiusura del forame. Lo studio conferma come il trattamento antiaggregante non basti: la chiusura è meglio. Infatti, il trattamento con aspirina migliora gli attacchi di emicrania con aura, ma non li risolve, mentre la chiusura ottiene una regressione completa nel 69,7% dei casi.
“La chiusura del PFO abolisce lo stress ossidativo che causa l’attivazione piastrinica; come conseguenza diretta di ciò, infatti, le piastrine perdono il fenotipo attivato e la capacità di formare microemboli, tornando a circolare nel sangue per svolgere le normali funzioni emostatiche. Analizzando il sangue dei pazienti dello studio LEARNER abbiamo osservato che l’effetto di remissione dell’attivazione piastrinica può essere ottenuto anche con farmaci antiaggreganti quali clopidogrel. Tuttavia, il vantaggio conferito dalla chiusura del PFO, rispetto al trattamento farmacologico del paziente, è che tale procedura permette di rimuovere la causa dell’attivazione piastrinica, mentre il secondo tratterebbe solo l’effetto dello stress ossidativo sulla piastrina obbligando per altro il paziente ad una terapia cronica” – aggiunge Camera.
“Con le nuove evidenze scientifiche che abbiamo ottenuto contiamo di convincere neurologi e cardiologi, attraverso le rispettive società scientifiche, a raccomandare la chiusura percutanea del PFO in tutti i casi di pazienti con emicrania con aura refrattaria ai farmaci. Nel frattempo, è importante che questi pazienti sappiano che abbiamo nelle nostre mani un’arma efficace per dire addio alle loro temute crisi e per proteggere il cervello da rischiose ischemie” concludono le ricercatrici.

Fonte Doctor 33

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