L’ostracismo del Kava-kava, la pianta rituale dei Samoani

Il kava-kava (Piper methysticum) è la «bevanda nazionale» della Polinesia e della Melanesia, usata da almeno 3000 anni nei loro rituali di socializzazione. In Europa purtroppo non ha avuto lo stesso successo. Vediamo perché

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Il kava-kava vanta una lunga tradizione di impiego nelle società Fijane, Samoane e Tongane. Viene tutt’ora bevuto durante le cerimonie religiose e politiche di questi paesi, per favorire la socializzazione durante particolari eventi della comunità.

Il rituale di preparazione tradizionale si basa su una pre-masticazione delle radici. Viene compiuta lentamente e solennemente, finché ciascun pezzetto di radice è ridotto a sfilaccio. Il succo che si accumula in bocca non deve essere inghiottito e i boli così premasticati sono collocati in un recipiente dove viene aggiunta dell’acqua. A questo punto i boli vengono pressati in modo da favorire la fuoriuscita del succo. Il tutto viene poi filtrato ed ingerito.

La bevanda così ottenuta è priva di alcol (puntualizzazione non affatto banale, vedremo in seguito perché).

Dalla Polinesia il kava-kava è stato importato in occidente dove è diventato un rimedio famoso per il trattamento degli stati depressivi e ansiosi, in virtù delle sue proprietà sedative, ansiolitiche, antidepressive e miorilassanti.

Questi effetti si basano su un’attività modulatrice operata sul nostro sistema Gaba-ergico dai kavalattoni (le sostanze attive concentrate nella radice). Sappiamo che il Gaba è il neurotrasmettitore coinvolto nella sedazione e i kavalattoni mimano la sua attività agendo sugli stessi recettori. Altri effetti neurochimici includono la ridotta ricaptazione neuronale delle catecolamine e un effetto Mao inibitore. Queste azioni associate a quella già citata sul sistema del Gaba, rendono l’effetto ansiolitico del kava del tutto peculiare e sostanzialmente differente da quello esercitato dall’alcol e dalle benzodiazepine. La sensazione riportata dai pazienti è un rilassamento generalizzato associato tuttavia ad un aumento del tono edonico senza effetti deleteri sulla cognizione.

Nonostante queste attività abbiano ricevuto il plauso e le conferme dalla ricerca scientifica internazionale, ad un certo punto il rapporto tra il kava-kava e la Comunità Europea si è bruscamente incrinato.

Tutto è cominciato nel 2002. Dopo diversi casi di tossicità epatica concentrati soprattutto in Germania, il kava-kava viene ritirato dal commercio in molti paesi europei. Anche in Italia, il Ministero della Salute con una circolare sospende la vendita di prodotti contenti kava-kava e il suo estratto viene inserito nella “lista degli estratti vegetali non ammessi negli integratori alimentari”.

Le cause di questa sua tossicità sono state successivamente individuate e riassunte come segue: alla base c’è stata una diversa modalità di preparazione dell’estratto rispetto a quella del rituale tradizionale. Si sono utilizzati cioè dei solventi non acquosi come etanolo o acetone, su una parte della pianta non idonea (corteccia) nonostante le diverse monografie indicassero il rizoma come quella corretta.

Dopo un lungo periodo di ostracismo, negli ultimi anni il kava-kava è stato finalmente recuperato. Nel 2009 è stato inserito in una lista di “prodotti prioritari per l’esportazione dalle Isole Figi e dalla Papua Nuova Guinea alla comunità europea”. Nel 2015 la Germania ha inoltre eliminato il divieto sul kava, vincolandolo però all’uso solo su prescrizione medica.

Dato che il legame tra Kava e i rari casi di lesioni epatiche non può comunque essere escluso, la dose massima giornaliera viene fissata a 2 g di rizoma secco o a 120 mg di kavalattoni. L’assunzione deve essere effettuata sotto controllo medico (in grado quindi di valutare la forma galenica ed estrattiva appropriate), e l’utilizzo continuato non dovrebbe superare le 4 settimane.

Fonte Farmacista 33

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