Scoperte nel cervelletto cellule che sopprimono la fame

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Un team di ricerca guidato da Nicholas Betley, professore associato di biologia allo Scintillion Institute di San Diego, ha scoperto un sottoinsieme di neuroni cerebellari che segnalano la sazietà dopo aver mangiato. «I neuroni nei nuclei profondi anteriori del cervelletto (aDCN) sono coinvolti nella regolazione delle dimensioni del pasto dei topi di laboratorio con un effetto a dir poco significativo. Gli animali oggetto di studio mangiano con la stessa frequenza dei topi di controllo, ma riducendo ciascun pasto del 50-75%» esordisce il biologo, coautore di uno studio appena pubblicato su Nature.

E quando i ricercatori hanno fatto il contrario, inibendo questi stessi neuroni, i topi hanno mangiato pasti più abbondanti del normale. «Mentre la riduzione dell’assunzione di cibo può spesso portare persone e animali a compensare mangiando più cibo in seguito, gli animali stimolati non lo hanno fatto e le misure dell’attività metabolica sono rimaste stabili» scrivono gli autori, che concentrandosi su un sottoinsieme di neuroni aDCN che hanno dimostrato di essere attivati dall’alimentazione, ne hanno approfondito il ruolo nella regolazione di fame e sazietà: negli animali affamati, questi neuroni si attivano rapidamente dopo aver ricevuto del cibo, mentre nei topi sazi restano quiescenti. «Un dato interessante è che attivando i neuroni aDCN associati a una ridotta alimentazione, il nucleo striato ventrale cerebrale viene inondato di dopamina» spiegano i ricercatori che, per comprendere meglio la relazione tra secrezione di dopamina e attività aDCN, hanno attivato i neuroni un’ora prima di dar da mangiare ai topi. Così facendo hanno scoperto che, mentre i topi normalmente hanno un picco nei livelli di dopamina dopo aver ricevuto il cibo, questo non si verifica attivando i neuroni cerebellari. «L’accumulo di dopamina nello striato ventrale si associa a percorsi neurali di ricompensa. Pensiamo sia questo il motivo per cui gli animali smettono di mangiare: continuare a farlo non è più gratificante» afferma Betley. E conclude: «Il prossimo passo sarà di replicare questi risultati negli esseri umani utilizzando la stimolazione cerebrale non invasiva. Un simile approccio potrebbe offrire un nuovo modo per trattare l’obesità».

Nature 2021. Doi: 10.1038/s41586-021-04143-5
http://doi.org/10.1038/s41586-021-04143-5

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