Fragilità nell’anziano, un biomarcatore potrebbe indicare quali persone sono a rischio

La fragilità viene al momento valutata utilizzando un processo abbastanza impegnativo clinicamente parlando, tanto che vengono utilizzati ben 33 indicatori a tale scopo.

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Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs, in collaborazione con la Fondazione Golgi Cenci e la Fondazione Mondino, ha descritto la possibilità di utilizzare l’acido ippurico, una molecola di derivazione alimentare, come indicatore della fragilità nell’anziano. La fragilità viene al momento valutata utilizzando un processo abbastanza impegnativo clinicamente parlando, tanto che vengono utilizzati ben 33 indicatori a tale scopo.

Il soggetto deve quindi essere sottoposto a test cognitivi e fisici, e ricevere un’anamnesi attenta. Non tutte le persone anziane presentano fragilità, e talvolta i gradi in cui questo problema si presenta sono differenti, per cui poter identificare chi è a rischio di fragilità prima che questa si manifesti ha indubbi vantaggi per il sistema sanitario. I ricercatori hanno valutato la possibilità di utilizzare un semplice biomarcatore, ovvero la concentrazione nel sangue di acido ippurico, in 433 soggetti anziani, fragili e non fragili, per identificare la presenza di fragilità. «Sappiamo che la diminuzione dell’assunzione di polifenoli e, più in generale, la diminuzione dell’assunzione di frutta e verdura, è un evento sfavorevole nei soggetti fragili. Nel nostro studio, attraverso l’utilizzo di tecnologie sofisticate, quale la spettrometria di massa, abbiamo identificato l’acido ippurico, metabolita di derivazione polifenolica, come possibile indicatore oggettivo dell’assunzione di frutta e verdura» afferma Laura Brunelli, dell’Istituto Mario Negri, prima autrice del lavoro pubblicato su The Journals of Gerontology: Series A. I ricercatori hanno osservato che nei soggetti fragili si verifica una significativa riduzione dei livelli plasmatici di acido ippurico associati a una diminuzione del consumo di frutta e verdura. L’analisi dei dati ha anche mostrato che gli anziani che avevano alti livelli plasmatici di acido ippurico in un periodo di osservazione di quattro anni non sono divenuti fragili. «La prospettiva futura è di arricchire questo risultato allargando lo studio ad altre popolazioni anziane italiane e andando a valutare se l’acido ippurico stesso possa essere un determinante biochimico e abbia un ruolo fisiologico nel contrastare l’insorgenza di questa sindrome geriatrica» conclude Brunelli.

The Journals of Gerontology: Series A 2021. Doi: 10.1093/gerona/glab244
https://doi.org/10.1093/gerona/glab244

 

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