Tumore ovarico: le donne non conoscono gli studi clinici

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Aderire alle sperimentazioni cliniche rappresenta per le donne colpite da tumore ovarico l’unica possibilità di partecipare al miglioramento dei trattamenti, eppure nonostante la fiducia nella ricerca clinica e nel ruolo del medico, c’è una conoscenza limitata degli studi clinici randomizzati. È quanto emerso dallo studio promosso dall’associazione pazienti Alleanza contro il Tumore Ovarico, in donne con questa diagnosi.

Risultati dello studio

Iniziata nel 2019 e conclusa nel settembre 2020, la ricerca è il primo studio indipendente su questo argomento, ma ha mostrato subito luci e ombre sul tema. Limitata la conoscenza degli studi clinici, secondo la ricerca infatti solo il 59% delle intervistate ha sentito parlare di studi clinici attraverso i mezzi di comunicazione o dal medico, e solo il 34,9% conosce il significato della parola randomizzazione e quindi come si svolte la sperimentazione clinica di un nuovo trattamento. Sulla conoscenza del problema incide il livello educativo: meno della metà delle donne con minore livello educativo ha parlato di studi clinici con il proprio medico (46,4%) contro il 69,7% delle rispondenti con livello educativo più alto. Disponibile a partecipare alla sperimentazione il 91,5% delle rispondenti ma più della metà (54%) non è in grado di valutarne i benefici.

Nonostante la disponibilità elevata a partecipare a uno studio (55,4%), all’88% delle intervistate non è mai stato proposto di partecipare ad uno studio clinico. Fondamentale nel partecipare agli studi, il ruolo del medico per il 90,3% delle donne. Il fatto di delegare in toto al medico la decisione di partecipare a uno studio clinico influisce anche sulle opinioni espresse prima di aderire. Tra sette opzioni di risposta, il 30,2% ritiene importante essere ampiamente informata su vantaggi e svantaggi, sul gruppo di medici cui fare riferimento (23,8%), su cosa succederà in termini di visite e costi extra (19,4%). Il 34,9% pone attenzione agli scopi per cui vengono raccolti i dati e dove, da chi e per quanto tempo (21,2%).

Infine, il 71,2% delle rispondenti attribuisce importanza al coinvolgimento delle associazioni che rappresentano pazienti e cittadini nell’ideazione e nella progettazione di uno studio clinico. Alle associazioni è attribuito soprattutto un ruolo determinante nel migliorare l’informazione (20,9%), nel facilitare la partecipazione delle pazienti (20,3%) e nel dare suggerimenti per condurre studi clinici di reale vantaggio per i pazienti (19,8%). Dallo studio emerge anche l’importanza delle associazioni alle quali è attribuito un ruolo fondamentale nel migliorare l’informazione (20,9%9, nel facilitare la partecipazione delle pazienti (20,3%) e nel dare suggerimenti per condurre studi clinici di reale vantaggio per i pazienti (19,8%). “Un’altra ombra, ha spiegato la presidente di Acto Onlus Cerana, è legata alla tendenza delle pazienti a delegare totalmente al medico la decisione di aderire o meno ad uno studio clinico. Le risposte fornite sono indicative di un livello ancora molto basso non solo di informazione ma soprattutto di autonomia decisionale e di responsabilizzazione ed emancipazione delle pazienti dal medico.”

La ricerca, condotta dall’Istituto Mario Negri IRCCS di Milano, ha coinvolto in 12 Regioni 25 tra i migliori ospedali italiani specializzati nella cura del tumore ovarico e aderenti alle reti di ricerca clinica M.I.T.O e MaNGO.

Fonte: Doctor33

 

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