Come l’isolamento cambia il nostro cervello

Il cuore dell’isolamento è nel nostro cervello, specie nel sistema limbico che è coinvolto nelle reazioni emotive, nelle risposte comportamentali, nella memoria a breve e a lungo termine........

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Tutti noi sappiamo trovare parole per spiegare cosa si provi quando costretti a casa e lontano dai nostri cari, dai nostri amici, dalla nostra routine, dalla nostra libertà…ma qual è la parte del corpo che sta di più subendo e cambiando a causa dell’isolamento? E se capiamo dov’è l’isolamento, cosa possiamo fare per prevenire lo stato di ansia, angoscia, apatia, noia e voglia di abbuffarci che da questo ne consegue?

Il cuore dell’isolamento è nel nostro cervello, specie nel sistema limbico che è coinvolto nelle reazioni emotive, nelle risposte comportamentali, nella memoria a breve e a lungo termine, nell’apprendimento, nell’olfatto, nella percezione del tempo, nei meccanismi di motivazione e ricompensa, nel senso di gratificazione derivante dal raggiungimento di un obiettivo e nell’attenzione.

Già il filosofo greco Aristotele ci definiva “animali sociali” e, sebbene per molti secoli si sia discusso se questo fosse un istinto primario o il risultato di altre esigenze, oggi sappiamo qual è la chiave della socialità, definita anche simpatia collettiva.

È l’ossitocina, ormone importante, nella donna, per l’innesco delle contrazioni uterine e per la stimolazione della produzione del latte materno, ma anche neurotrasmettitore a livello centrale, coinvolto nello stabilire rapporti empatici, di fiducia, di piacere e di amore.

Ma sono il contatto fisico, la socialità e la compartecipazione a mantenere la produzione di ossitocina nel nostro cervello.

In momenti di isolamento, la produzione di ossitocina scende, così pure l’attività e la reattività di certe aree del cervello come corteccia prefrontale, insula, amigdala deputate rispettivamente ai processi decisionali-motivazionali, all’elaborazione di segnali di allarme e alla gestione di stati emozionali in relazione al contesto.

E così diventiamo ansiosi, apatici e demotivati, spaventati e allarmisti, deconcentrati, incapaci di creare una routine, quasi confusi ed intorpiditi mentalmente.

Questo torpore non è immaginario. Studi condotti sulle arvicole delle praterie (piccolo roditore usato come modello animale per socialità, monogamia e legami parentali) hanno dimostrato che un prolungato isolamento sociale induce una neurodegenerazione per danno ossidativo ed invecchiamento cellulare.

Come interessante curiosità vi invito a pensare alle tante espressioni metaforiche, esistenti in qualsiasi lingua, che mettono in relazione la sensazione di freddo con emozioni come la solitudine, la disperazione e la tristezza. Siamo stati abituati ad intendere la metafora come descrittiva e non per il suo significato letterale. Eppure ci sono studi che hanno evidenziato basi fisiologiche che legano la percezione del freddo all’esperienza di isolamento sociale, come conseguenza di una variata neurotrasmissione a livello dell’ipotalamo, il “termometro” centrale.

E da ultimo, questo isolamento ha qualcosa a che fare con la voglia continua di cibo che ci appaghi?

Ebbene sì! La mancanza di appagamento sociale e lo stato emotivo di tipo ansioso, depressivo e negativo sono inneschi per comportamenti compensatori che finiscono per essere delle dipendenze da cui è difficile staccarsi. Studi di risonanza magnetica hanno mostrato come, sia dopo un lungo periodo di isolamento che dopo un periodo prolungato di digiuno, il cervello attivi lo stesso circuito neuronale indipendentemente dalla presentazione di uno stimolo sociale o un cibo. Il cervello, dopo un po’ non distingue più, converte un bisogno con un altro e vuole solo “connettersi” col piacere!

Cosa fare allora?

Se viviamo con qualcuno a casa, semplicemente abbracciamoci spesso. Studi hanno dimostrato che basta un abbraccio di 20 secondi per stimolare la produzione di ossitocina che, se mantenuta a livelli costanti per almeno 5 giorni, crea una riduzione pressoria di 5-10 mmHg e diminuzione di cortisolo (ormone dello stress). Insomma, cerchiamo di fare l’amore e non la guerra!

Se abbiamo un animale domestico, abbandoniamoci a frequenti momenti di coccole pelose e, se viviamo soli usiamo la tecnologia per mantenere la socialità, almeno virtuale. Una videochiamata che ci permette uno scambio di sguardi con il nostro interlocutore per almeno 60 secondi attiva i neuroni secernenti ossitocina.

Manteniamo vigile e stimolato il nostro cervello coltivando hobby, quali la lettura, o avventuriamoci in momenti di creatività e di espressione emozionale.

Ascoltiamo la musica che più ci tocca e ci sveglia e non vergogniamoci di ballare al suo ritmo.

Non perdiamo la cognizione del tempo ma creiamoci una routine con piccoli obiettivi, ad esempio uno schema per allenarci in casa: in fondo basta una corda da saltare, un tappetino e qualche pesetto.

Apriamo le finestre, usciamo in giardino e facciamo respiri lunghi e profondi che ci permettano di ossigenare le nostre cellule, ridurre i marker di infiammazione cronica, allentare la tensione e detossificarci. La respirazione diaframmatica profonda, con un’esalazione lunga e lenta, è la chiave per stimolare il nervo vago, rallentare la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, soprattutto in momenti di ansia o elevate prestazioni. Simili modulazioni sono state riportate anche per effetto della preghiera e della meditazione.

Creiamoci allora la nostra libertà e restiamo animali sociali!

 

Biologa Nutrizionista. Si è laureata con il massimo dei voti in Biological Sciences all’Università degli Studi di Camerino, dopo aver conseguito, presso la stessa Università, la laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche e il dottorato di ricerca in Neuroscienze presso l’Università di Groninga, Paesi Bassi. Vincitrice di due borse per progetti di ricerca nell’ambito dei disordini del comportamento alimentare al Karolinska Institute, Stoccolma, e nel campo del food craving e Neurofeedback alla Healthy Within Clinic, San Diego. Si occupa di nutrizione clinica con particolare esperienza nella gestione di malattie autoimmuni, dismetabolismi, disturbi del tratto gastro-intestinale e dell’asse microbiota-cervello. Crede molto nella gestione multidisciplinare del paziente, secondo un approccio terapeutico integrato. Insieme ad altre figure medico-sanitarie, ha recentemente fondato l’Associazione Scientifica Fibromialgia con finalità di ricerca, formazione e divulgazione.

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