- Adv -
La fibromialgia o sindrome fibromialgica (FM) è una malattia cronica caratterizzata da dolore diffuso, astenia (ovvero debolezza e stanchezza) e rigidità muscolare. Quasi sconosciuta fino al 1990, quando furono enunciati i primi criteri diagnostici, la FM è stata oggetto di numerosi studi che hanno apportato nuove conoscenze a livello terapeutico ed epidemiologico.
Oggi, per esempio, sappiamo che la prevalenza della FM è maggiore nelle donne (che rappresentano circa il 90% dei malati) e che la sindrome può comparire a qualsiasi età, anche se il picco si colloca tra i 40 e i 60 anni, con importanti ripercussioni sull’attività lavorativa e sul piano socio-affettivo.
Il termine fibromialgia, deriva dal latino fibro- (tessuto fibroso) e dal greco myo- (muscolo) unito ad algos (dolore). Il termine quindi significa letteralmente “dolore nel tessuto connettivo-muscolare”.
Purtroppo la fibromialgia non è solo questo. I sintomi interessano anche la sfera cognitivo-affettiva con problemi di apprendimento, difficoltà di concentrazione e di elaborazione della memoria a breve termine (in inglese, queste manifestazioni sono chiamate “fibro-fog”, cioè “annebbiamento fibromialgico”).
Alterazioni dell’umore, del sonno e della emotività caratterizzano il paziente fibromialgico e, come filo conduttore, sembra esserci un difetto nell’azione di importanti neurotrasmettitori quali serotonina, dopamina, acido γ-amminobutirrico (GABA) e noradrenalina, molecole coinvolte, tra l’altro, anche nella eziologia dell’alterata percezione del dolore, così come della sintomatologia del colon irritabile, presente in circa il 70% dei soggetti fibromialgici.
Oggi sappiamo che numerose molecole neuroattive come il GABA, la serotonina, le catecolamine e l’acetilcolina possono essere prodotte anche dai batteri intestinali, attivando così le cellule all’interno del rivestimento epiteliale che, a loro volta, rilasciano molecole che stimolano la funzionalità cerebrale e influenzano il comportamento: parliamo, infatti, di asse intestino-cervello.
Una strategia di intervento per migliorare le condizioni del fibromialgico è proprio partire dall’intestino, abbassando il livello di infiammazione dovuto a disbiosi (alterazione dell’equilibrio tra le specie microbiche che lo colonizzano) e supportando l’integrità della parete intestinale. Ciò evita che ci sia una fuoriuscita del contenuto intestinale con conseguente iper-attivazione dei sistemi immunitario e nocicettivo.
Il protocollo dieto-terapico è, dunque, di tipo anti-infiammatorio, privo di sostanze, come glutine, caseina, solanina, lectine e fitati, responsabili di reazioni avverse a livello dell’epitelio intestinale, fenomeni di alterata permeabilità intestinale e, quindi, intolleranze. La dieta dovrà essere, invece, quanto più varia possibile, bilanciata nel contenuto di macro- e micronutrienti, evitando carenze nutrizionali, e ricca di sostanze antiossidanti e di alimenti capaci di fornire precursori utili alla sintesi dei neurotrasmettitori citati precedentemente.
Un regime che spesso è di aiuto nella gestione dei disturbi intestinali (gonfiore, alvo alterno, dolori addominali, colon irritabile) è la dieta low FODMAP, cioè a basso contenuto di sostanze Fermentescibili quali Oligosaccaridi (fruttani e galatani), Disaccaridi (lattosio), Monosaccaridi (fruttosio) e Polioli (alcool-zuccheri). Questo regime si declina in due fasi: la prima di esclusione e la seconda di attenta e graduale reintroduzione di alcuni degli alimenti eliminati.
Se dall’anamnesi sospettiamo che ci sia una importante condizione disbiotica intestinale prescrivere un piano nutrizionale personalizzato e mirato alla sintomatologia descritta non basta. Per verificare lo stato di salute del microbiota intestinale e fare, quindi, una valutazione quali- e quantitativa è necessario eseguire uno screening fecale: una sorta di fotografia dei microorganismi presenti in modo tale da evidenziare eccessi e carenze. Con questo dato è possibile lavorare al ripristino dell’eubiosi, parallelamente ad una corretta alimentazione.
L’approccio vincente è, dunque, di tipo integrato, che guarda la persona nella sua complessa realtà bio-psico-sociale e, sicuramente, il potere nutraceutico degli alimenti è uno degli strumenti imprescindibili nel percorso multidisciplinare terapeutico.