Aterosclerosi e infarto, guarigione delle placche può essere base per un approccio terapeutico

La rottura e l'erosione della placca aterosclerotica provocano sindromi coronariche acute

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Una revisione pubblicata sul New England Journal of Medicine e firmata da Rocco Vergallo e da Filippo Crea, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e dell’Uoc di Cardiologia della Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs, fa il punto della situazione sul ruolo delle placche aterosclerotiche nella comparsa delle sindromi coronariche acute. «La rottura e l’erosione della placca aterosclerotica provocano sindromi coronariche acute. Abbiamo voluto esaminare quanto è finora noto sui meccanismi e sulle caratteristiche fenotipiche della guarigione della placca, il suo ruolo negli eventi clinici e le implicazioni terapeutiche» spiegano gli autori.

Il problema principale degli esperti è riuscire a comprende perché alcune placche a un certo punto causano un infarto, mentre altre no. È noto che le placche aterosclerotiche attraversano fasi di attivazione, durante le quali diventano instabili, e fasi di guarigione. La ricerca, che si era in passato concentrata sui meccanismi che rendono instabile la placca, si è spostata ormai da qualche tempo sui processi di guarigione. I ricercatori hanno notato che talvolta le placche aterosclerotiche si attivano ma non danno sintomi perché l’organismo reagisce facendole guarire ed evitando quindi la trombosi. Ma la cosa importante è che in alcuni pazienti le placche guariscono facilmente, mente in altri questo non avviene. Gli autori supportano quindi un nuovo obiettivo terapeutico, ovvero trasformare i “cattivi guaritori” di placca, ovvero i pazienti che faticano a raggiungere tale guarigione, in buoni guaritori, ma sottolineano che, perché si possa veramente arrivare a tale risultato, sarà necessario capire meglio i meccanismi molecolari che stanno dietro alla guarigione della placca. In questo modo si potrà veramente migliorare la prognosi delle persone con patologia aterosclerotica perché, oltre a ridurre il rischio che si formino placche instabili, sarà possibile riportare la situazione sotto controllo anche nei pazienti che sono cattivi guaritori. «Purtroppo, nonostante gli straordinari progressi terapeutici fatti nell’arco degli ultimi decenni, l’infarto rimane il killer numero uno sia negli uomini che nelle donne. É necessario dunque fare di più» conclude Filippo Crea.

NEJM 2020. Doi: 10.1056/NEJMra2000317
https://doi.org/10.1056/NEJMra2000317

 

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