- Adv -
Secondo una nuova ricerca apparsa su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, un trattamento prolungato con denosumab è associato a una riduzione del tasso di fratture non vertebrali. In particolare lo studio di fase 3 FREEDOM ha mostrato una riduzione significativa del rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e dell’anca nelle donne con osteoporosi post-menopausa trattate per 3 anni con il farmaco, rispetto a placebo. I risultati del FREEDOM Extension, che ha analizzato l’effetto dell’uso di denosumab nei 7 anni successivi, dimostrano che il trattamento fino a 10 anni con il farmaco è associato a ulteriore riduzione dei tassi di fratture non vertebrali rispetto ai primi 3 anni.
«Questi dati supportano la somministrazione di denosumab a lungo termine nelle donne in post-menopausa con osteoporosi e un T-score di densità minerale ossea dell’anca minore di 1,5 per migliorare la forza ossea e minimizzare il rischio di fratture da fragilità» afferma il primo autore Serge Ferrari, del Geneva University Hospital, in Svizzera. Lo studio ha coinvolto più di 4.000 donne tra i 60 e i 90 anni arruolate in 172 centri, 2.343 hanno continuato a prendere denosumab (gruppo long-term) mentre 1.731 sono state trattate con un placebo (gruppo cross-over). Complessivamente, i tassi di fratture non vertebrali sono stati 2,15 negli anni 1-3 e 1,53 negli anni 4-7. Nel gruppo long-term i tassi sono stati di 1,98 negli anni 1-3 e 1,44 negli anni 4-10. Inoltre, il tasso di osteonecrosi della mandibola è stato di 0,05 (12 casi), mentre quello di frattura femorale atipica 0,01 (2 casi) per 100 anni-paziente. Se le donne in menopausa non ricevono alcun trattamento, il rischio di incorrere in fratture non vertebrali aumenta con il passare del tempo. I risultati dello studio mostrano quindi che raggiungendo un più alto valore di T-score di densità minerale ossea, grazie al trattamento con denosumab, il rischio si riduce. «Prendendo in considerazione il rischio di fratture vertebrali dopo l’interruzione prematura del trattamento e un’ulteriore riduzione del rischio con la terapia a lungo termine, queste osservazioni sottolineano i benefici e la necessità di mantenere il trattamento nei pazienti ad alto rischio» concludono gli autori.
J Clin Endocrinol Metab. 2019 May 24. pii: jc.2019-00271. doi: 10.1210/jc.2019-00271.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31125092