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L’interruzione forzata durante la pandemia delle attività sanitarie per le malattie croniche, tra cui gli esami e i trattamenti per l’osteoporosi e la riabilitazione fisica, causerà un’impennata nelle fratture e nelle loro complicanze negli anziani con più di 65 anni, secondo un commento pubblicato su Nature Reviews Endocrinology. «In Italia appena il 20% dei pazienti con fratture viene sottoposto a una terapia anti-osteoporosi, mentre il restante 80% non riceve trattamenti. É come se un paziente, dopo un infarto, venisse dimesso senza che gli fosse prescritta una cura a base, per esempio, di statine o betabloccanti. Noi vogliamo sensibilizzare medici e pazienti su un’emergenza silenziosa che dopo l’epidemia di Covid-19 rischia di esplodere in tutta la sua drammaticità» spiega l’autore principale del documento, Nicola Napoli, del Policlinico universitario Campus Bio-Medico, Napoli.
Il nuovo coronavirus ha colpito prevalentemente gli anziani sopra ai 60 anni di età, che con l’immobilizzazione conseguente alla malattia e con trattamenti lunghi e debilitanti vedono crescere il rischio di fragilità ossea e fratture. Inoltre, durante l’emergenza, quasi ovunque le persone che soffrono di osteoporosi sono state gestite come malati non urgenti, e non sono state seguite a dovere. «Durante il lockdown molti reparti di ortopedia, di riabilitazione o per pazienti cronici sono stati chiusi, sia per dare spazio a pazienti Covid che per garantire misure anti-contagio. Di conseguenza i pazienti con frattura d’anca, se accettati in ospedale, sono stati rapidamente dimessi dopo l’operazione e spesso senza corretta riabilitazione post-chirurgica, trattamenti anti osteoporosi, o ulteriori raccomandazioni per il follow-up» spiega Napoli. Proprio per questo motivo aumentano i rischi per tutte le complicanze legate alle fratture come quella del femore, come allettamento, piaghe da decubito, infezioni, patologie cardiovascolari. Secondo gli esperti è necessario che ora tali pazienti ritornino ad avere la giusta attenzione, e che vengano loro garantiti trattamenti adeguati. Senza una continuità di cura, infatti, alla lunga si metterà a rischio la sopravvivenza di queste persone. Gli autori concludono affermando che le persone con fratture da fragilità dovrebbero essere gestite in un contesto clinico multidisciplinare, che sia in grado di garantire un trattamento chirurgico, ma anche le cure dopo le dimissioni.
Nature Rev Endoc 2020. Doi: 10.1038/s41574-020-0379-z
https://doi.org/10.1038/s41574-020-0379-z