Carcinoma epatocellulare, trapianto anche in stadio avanzato se la massa può essere ridotta

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Secondo uno studio tutto italiano, pubblicato su Lancet Oncology, il trapianto di fegato è la terapia più efficace per il carcinoma epatocellulare anche nelle forme che superano per dimensione i limiti definiti dai Criteri di Milano, se queste vengono contenute nella loro estensione per sufficiente tempo e con sufficiente efficacia. «Questo studio rappresenta una pietra miliare nella storia delle terapie per il carcinoma epatocellulare e cambia l’attuale paradigma nel trattamento di questa importante forma tumorale. I risultati emersi infatti per la prima volta suggeriscono che, sulla base della risposta alle terapie loco-regionali contro i tumori epatici, oggi possono essere candidati al trapianto anche pazienti con forme intermedie o avanzate che fino ad ora venivano escluse da questa opzione» afferma Vincenzo Mazzaferro, dell’Università di Milano e dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, ideatore e coordinatore dello studio.

I ricercatori hanno studiato 74 pazienti tra i 18 e i 65 anni di età, con carcinoma epatocellulare, senza metastasi, già sottoposti a varie terapie per ridurre le dimensioni del tumore, dividendoli in due gruppi, di cui uno solo è stato trattato con trapianto di fegato. Ebbene, la sopravvivenza a cinque anni libera da eventi tumorali è stata del 76,8% nel gruppo dei pazienti che hanno eseguito il trapianto di fegato, rispetto al 18,3% nel gruppo di controllo. Secondo Mazzaferro molte cose cambieranno grazie a questo studio. «Innanzitutto, i vari gradi di risposta del tumore alle terapie identificheranno gruppi di persone a maggiore o minore necessità di trapianto e ciò contribuirà ad una maggiore equità e trasparenza nella allocazione degli organi» spiega l’esperto. Ma non solo, dato che la possibilità del trapianto dipenderà anche dal risultato di altre terapie, ci sarà un rafforzamento del lavoro multidisciplinare tra le varie specialità e si tenderà a concentrare i casi verso i Centri trapianto. «Il lavoro del chirurgo associato alle tante terapie farmacologiche che la ricerca produce per questi tumori può contribuire a spostare dalla “cronicizzazione” alla “cura definitiva” molti pazienti, con notevole risparmio di risorse, sia tecnico-assistenziali che economiche» conclude Mazzaferro.

Lancet Oncology, July 2020 Doi: https://doi.org/10.1016/S1470-2045(20)30224-2

 

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