Test sierologici e tamponi, ecco l’iter corretto. Ssn deve sapere chi li fa

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Doveva protrarsi fino a fine giugno ma in alcune aree entra nel vivo solo ora. E mai come oggi l’indagine di sieroprevalenza della Croce Rossa per individuare pazienti Covid-19 su un campione di 150 mila italiani è importante: girati alle sedi istituzionali e ad Asl-regioni, i dati dei negativi e dei positivi indirizzati a successivo tampone daranno il polso su diffusione di virus e contagiosità. Al momento c’è la ragionevole certezza che si stiano disperdendo informazioni. Anche per colpa del “fai da te”. A chi non si presenta alla chiamata della Cri, e a chi pur facendo parte delle categorie a rischio indicate localmente dai sindaci non si sottopone al tampone nel presidio drive-in, si aggiunge chi all’opposto fa l’esame del sangue fuori dal servizio sanitario e poi non ne comunica l’esito. Con l’estate cresce quest’ultima tipologia.

Si parte così: «per ospitarmi i miei parenti vogliono il test». L’iter corretto è andare dal medico di famiglia, farsi fare la ricetta e farsi praticare l’esame. Nelle regioni è peraltro o scoraggiato il “test del profano” (Lombardia, divieto di vendita a singolo) o codificato l’obbligo di ricetta del medico di famiglia (Emilia Romagna, ad esempio). Molte regioni hanno tuttavia vissuto fasi “movimentate”; qualche laboratorio propone tuttora l’esame agli utenti. Due le tipologie: la sola ricerca delle IgG che dice se si è venuti a contatto con il virus, e la più costosa ricerca delle IgG + IgM che rivela se la patologia è ancora attuale. Se un utente scopre di essere positivo, in ambedue i casi dovrebbe comunicare l’esito del test al Servizio di prevenzione Asl e attendere il tampone, per valutare se è ancora contagioso. Molti purtroppo si fermano di fronte all’eventualità di un tampone positivo che vuol dire quarantena per sé, per la famiglia e per i “contatti”. D’altronde, evitando di dare seguito all’iter intrapreso, il test non comunicato diventa inutile. Spiega Pierluigi Lopalco consulente Covid della Regione Puglia e docente di Igiene all’Università di Pisa: «Il test sierologico, è la riflessione fatta da noi in Puglia, ha senso solo in due eventualità. In primo luogo, è di supporto al ragionamento clinico nei setting assistenziali in quanto diagnostica casi di covid-19 in pazienti con polmonite interstiziale negativi al tampone; in secondo luogo, è utile a rilevare la circolazione del virus nella popolazione, anche ripetuto in tempi diversi. Fuori da queste due situazioni non c’è utilità. Il singolo che va in laboratorio a farselo fare non sa se è contagioso (deve poi fare il tampone), non sa se è immune (la positività potrebbe scomparire o non evitare di contrarre la malattia), non sa se è negativo (può essersi positivizzato mentre attendeva l’esito)». In particolare, anche di un debolmente positivo va verificata la contagiosità con un tampone che ha tempi variabili a seconda dell’area del paese. Insomma, prima di fare i “Doctor House” per indagare sul raffreddore innocuo preso a dicembre (magari su richiesta dello zio del mare che magari dimentica come la sua regione già chieda al turista la “cortesia” di segnalarsi), si dovrebbe contare fino a dieci. «La positività IgG crea un’ulteriore domanda di tamponi che il Servizio sanitario non può esimersi dall’effettuare», ribadisce Lopalco. E aggiunge: «Anche qui va fatto un ragionamento. Il tampone ha forte valore indicativo là dove la percentuale dei positivi sulla popolazione è bassa, come sui residenti al Sud dov’è molto meno del 10%; altra cosa è organizzare un tampone a tappeto nella Bergamasca con i tassi di prevalenza osservati (fino al 40% della popolazione in Val Brembana ndr) a fronte di infezioni avvenute 3-4 mesi fa».

Per il vicepresidente Omceo Roma Pierluigi Bartoletti, almeno in aree a bassa prevalenza del Covid-19 serve un meccanismo di centralizzazione per cui i positivi al tampone non si disperdano mai. «La perdita di libertà per la persona – afferma Bartoletti all’Agenzia Dire -va commisurata all’enorme ricaduta che potrebbe avere dal punto di vista pubblico una positività non comunicata alle autorità». « È richiesta assolutamente corretta l’idea di centralizzare il controllo dei tamponi», dice Lopalco. «Il test non può essere lasciato alla libera decisione, serve un percorso guidato, serve la prescrizione dal Servizio sanitario, la ricetta del medico di fiducia, il monitoraggio. Un messaggio importante, tanto più in quanto cresce la spinta all’acquisto di test sierologici».

(fonte Doctor 33)

 

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