Coronavirus, i debolmente positivi non infettano. Lo studio del San Matteo di Pavia

In generale i debolmente positivi non infettano», hanno spiegato gli esperti secondo cui la ricerca può avere «importanti implicazioni» per le strategie di sanità pubblica.

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Su 280 soggetti guariti da coronavirus Sars-Cov-2 sono state riscontrate cariche virali basse. E il segnale di sopravvivenza del virus è meno del 3%. Chi è guarito, dunque, può risultare ancora positivo al tampone «perché restano residui di virus, ma senza più capacità di contagiare». È quanto emerge dallo studio coordinato dal Policlinico San Matteo di Pavia e presentato oggi un incontro in Regione Lombardia.

A riepilogarli è il virologo Fausto Baldanti, responsabile della Virologia molecolare dell’Irccs. Il virologo ha evidenziato l’importanza di considerare un valore: il cosiddetto Cycle threshold (Ct, “ciclo-soglia”): «Più ha un numero grande, meno Rna, cioè acido ribonucleico, c’è». Quindi la conclusione del lavoro è che «in generale i debolmente positivi non infettano», hanno spiegato gli esperti secondo cui la ricerca può avere «importanti implicazioni» per le strategie di sanità pubblica. Una conclusione simile può consentire agli oltre 15mila guariti ancora oggi in isolamento in Lombardia di tornare al lavoro e alla socialità. Lo studio è stato svolto con la collaborazione del Policlinico di Milano, del Santa Maria delle Scotte di Siena, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna e dell’Usl di Piacenza.
Il presidente del San Matteo, Alessandro Venturi, tira le somme: «Tutto ciò dimostra che oggi in Lombardia la circolazione del virus finalmente è rallentata. I nuovi casi che vediamo sono una coda dell’epidemia che ci ha travolto come nessun’altra regione italiana». L’equivoco da evitare: «Non bisogna pensare però che il virus sia meno cattivo del passato — dice —. Le percentuali restano le stesse di marzo: su 100 contagiati, 80 sviluppano la malattia in modo leggero, 20 finiscono in ospedale e di questi 5 in terapia intensiva». I ricoveri dunque, che ormai s’aggirano intorno ai 10 al giorno contro i 1.500 e più quotidiani di marzo, sono pochi perché poche sono le persone contagiate. «Adesso siamo in una fase – ha aggiunto Baldanti – in cui molte persone hanno superato l’infezione, sanno di essere state positive e hanno scoperto di essere state colpite da Covid attraverso test sierologici. La domanda che possiamo farci è: se siamo clinicamente guariti e la sintomatologia è scomparsa – ha detto ancora Baldanti – che significato ha la positività del tampone? La risposta – ha proseguito – è che molti soggetti hanno una bassa carica di Rna virale. Le indagini molecolari sono costruite in modo da identificare una porzione del genoma (cioè del codice genetico del virus): se si identifica questa porzione, non è detto che il genoma sia integro ossia infettante, oppure frazionato».

Questa nuova scoperta porta, quindi, a ridimensionare i numeri dei contagi lombardi perché come ha come ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera la scorsa settimana il direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi: «Li chiamiamo contagi, ma sono persone positive al tampone. Commentare quei dati che vengono forniti ogni giorno è inutile, perché si tratta di positività che non hanno ricadute nella vita reale». Motivo per cui la Lombardia chiede, in una lettera inviata, spiegazioni all’Istituto superiore di sanità: «Alla luce delle nuove scoperte scientifiche vogliamo sapere come dobbiamo comportarci nel conteggio dei casi e nelle politiche sanitarie da adottare nei confronti dei clinicamente guariti», osserva l’assessore alla Sanità Giulio Gallera. È destinato a continuare, comunque, verosimilmente fino al 15 luglio l’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto.

 

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