Infarto, durante la pandemia la paura di andare in ospedale mette a rischio la sopravvivenza

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Secondo i risultati di un sondaggio mondiale condotto dalla European Society of Cardiology (ESC), e pubblicati sull’European Heart Journal Quality of Care e Clinical Outcomes (EHJ-QCCO), il numero di pazienti con infarto che si rivolgono in urgenza agli ospedali è diminuito di oltre il 50% durante l’epidemia di COVID-19. «Anche le persone con un attacco cardiaco potenzialmente letale hanno troppa paura di andare in ospedale per timore di contrarre la malattia da coronavirus. Tuttavia, il rischio di morte per infarto è molto maggiore di quello di morte per COVID-19, e la morte cardiaca è ampiamente prevenibile se i pazienti sono trattati per tempo» afferma Barbara Casadei, del NIHR Oxford Biomedical Research Centre e del John Radcliffe Hospital, Oxford, Regno Unito, presidentessa ESC e autrice senior dello studio. I ricercatori hanno condotto un sondaggio che ha coinvolto 3.101 operatori sanitari in 141 paesi. La maggioranza dei medici ospedalieri e degli infermieri ha riferito un calo medio del 50% del numero di pazienti con attacchi cardiaci rispetto a prima della pandemia. Inoltre, la maggior parte degli intervistati ha affermato che, di quei pazienti che sono andati in ospedale, il 48% è arrivato più tardi del solito, e oltre la finestra ottimale per il trattamento urgente. Un altro sondaggio, condotto dall’European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI), i cui risultati sono stati pubblicati su EuroIntervention, ha coinvolto 600 cardiologi interventisti da 84 paesi. Gli esperti hanno riferito un aumento del 28% delle complicanze potenzialmente letali tra i pazienti con attacchi cardiaci durante la pandemia. Quasi la metà degli intervistati ha dichiarato che il ripristino del flusso sanguigno è stato ritardato a causa del timore di entrare in contatto con SARS-CoV-2. «I ritardi che stiamo riscontrando nella presentazione delle persone con infarto in ospedale hanno conseguenze dannose. I pazienti che non si presentano prontamente si trovano in una condizione molto peggiore quando arrivano, e spesso è troppo tardi per beneficiare del trattamento salvavita che possiamo fornire» spiega Dariusz Dudek, dello Jagiellonian University Medical College di Cracovia, Polonia e dell’Ospedale Maria Cecilia GVM, di Cotignola, Ravenna, presidente EAPCI e autore senior dello studio. L’indagine ha inoltre rivelato che il numero di procedure cardiologiche è stato drasticamente ridotto durante la pandemia.

European Heart Journal – Quality of Care and Clinical Outcomes 2020. doi:10.1093/ehjqcco/qcaa046ì
EuroIntervention 2020. Doi: 10.4244/EIJ-D-20-00528

 

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