Covid-19: Riflessioni

Una domanda, però, mi frulla sempre in testa da quando è iniziata la discussione sull'appiattimento della curva: alla fine tutti saremmo contagiati dal coronavirus e si avrà "l'immunità del gregge"?

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All’inizio della pandemia di coronavirus, la frase “abbassare o appiattire la curva” è un mantra nazionale. Lo si sentiva ripetere sulle bocche di tutti, politici, virologi, amministratori ed altri.

Chiudendo ampi settori della società, bloccando interi settori economici e modificando radicalmente i nostri costumi ed usanze nonché implementando il distanziamento sociale e altre misure di sanità pubblica, siamo riusciti a rallentare la diffusione del coronavirus evitando di fare schiacciare il nostro sistema ospedaliero. Storie cupe dei morti in lombardia, del triage per l’uso dei ventilatori disponibili, dei pazienti che muoiono nei corridoi e delle salme portate via dall’esercito hanno reso il problema molto più reale.

Finora, sembra che abbiamo appiattito la curva. Non abbiamo dovuto negare i trattamenti salvavita ai malati perché i ventilatori e i posti-letto in terapia intensiva sono stati potenziati e resi disponibili. Ciò è stato possibile grazie in gran parte agli sforzi erculei degli operatori sanitari per espandere la capacità del nostro sistema ospedaliero, ma anche agli sforzi degli italiani comuni che hanno preso sul serio le precauzioni.

Una domanda, però, mi frulla sempre in testa da quando è iniziata la discussione sull’appiattimento della curva: alla fine tutti saremmo contagiati dal coronavirus e si avrà “l’immunità del gregge”?

È una domanda importante. Questo è un nuovo virus per il quale nessuno di noi ha probabilmente un’immunità esistente. Siamo perciò terreno fertile per l’infezione e il tasso di diffusione (senza distanziamento sociale) è rapido. La presenza poi di soggetti infetti asintomatici peggiora ulteriormente la situazione.

Naturalmente, più persone si contagiano, più persone diventano immuni e più diventa difficile che il virus continui a diffondersi. L’equazione per calcolare la percentuale della popolazione che deve essere immune per conferire l’immunità di gregge è piuttosto semplice: è 1 – 1 / R0. Se ogni persona con la malattia infetta altri tre, quindi una volta che due persone su tre sono immuni, la malattia non ha abbastanza obiettivi per continuare a diffondersi. Il grafico sotto (preso da un articolo del Prof. F.Perry Wilson di Yale School of Medicine) mostra la relazione tra R0 e la percentuale di popolazione necessaria per conferire l’immunità di gregge.

#tagmedicinaPer il virus SARS-Cov2 (COVID-19), probabilmente dobbiamo avere il 65% -70% della popolazione immune prima che la pandemia si estingua. Voglio solo sottolineare che non siamo vicini a questo traguardo. In Lombardia, l’epicentro italiano della malattia, gli studi sulla sieroprevalenza suggeriscono che solo il 25% circa della popolazione è immune.

Ma se alla fine il 65% di noi riuscirà ad infettarsi, solo allora si potrà discutere di strategie diverse e diverse misure di sanità pubblica: forse dovremmo appiattire la curva quanto basta per evitare di schiacciare i nostri ospedali, ma non di più. Dovremmo porre come target di superare questa fase il più rapidamente possibile senza portare a morti in eccesso.

Ma voglio prendere in considerazione questo argomento sotto tre punti di vista: pratico, epidemiologico ed etico.

Dal punto di vista pratico. Ritardare la diffusione della malattia non solo aiuta gli ospedali a far fronte alle ondate; ci offre anche tempo per fare ricerche mediche, identificare trattamenti e trovare vaccini. Si faranno ampi studi clinici randomizzati di nuovi farmaci o combinazioni di farmaci già esistenti. Si faranno esperienze molto pratiche per trattare il COVID-19. Si pensi a quanto abbiamo imparato in questi pochi mesi – sull’utilità del proning, sul ritardo dell’intubazione, sul rischio di trombosi – che stanno cambiando il modo in cui ci prendiamo cura dei pazienti affetti da COVID-19. Conviene sicuramente ammalarsi adesso che tre mesi fa.

Un altro considerazione pratica è che non siamo in grado di controllare la diffusione del virus. Non è un asticella che possiamo alzare o abbassare a nostro piacimento. E’ diversa in luoghi diversi e sostanzialmente non sincrona rispetto alle scelte politiche. C’è anche un elemento stocastico da considerare: scoppieranno sempre focolai che non saranno prevedibili.

Dal punto di vista epidemiologico. Si scopre che i focolai non si fermano quando si raggiunge l’immunità di gregge. I focolai hanno una loro inerzia.

Infine, dal punto di vista etico. Anche se supponiamo che il tasso di mortalità totale sia lo stesso (cosa che spero a questo punto di averti convinto non lo è), comprimere quelle morti in un periodo di tempo più breve priva le persone di ogni speranza e rappresenta una sconfitta per la Medicina. Come medici, la guerra contro la morte è quella che perderemo sempre. Ma combattiamo la battaglia per spingere quel giorno il più lontano possibile nel futuro. Penso che dobbiamo tenerlo sempre presente mentre continuiamo a lottare con il COVID-19. Ogni giorno è una vittoria.

 

Nato a Ramallah (Giordania) il 01/03/1961 Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Bologna il 21.061989 Specializzazione in Chirurgia Generale presso l'Ateneo bolognese il 03/11/1994 Diploma al termine del corso quadriennale in omeopatia, omotossicologia e medicine alternative. Medico di Medicina Generale e libero-professionista.

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