Stati d’ansia: come trattarli. Intervista alla dott.ssa Dainese

Stato di agitazione, di forte apprensione, dovuto a timore, incertezza e attesa di qualcosa. Il vocabolario dà questa definizione di ansia. Ne parliamo con un'esperta, la dottoressa Serena Dainese, psicologa e specializzata in psicoterapia.

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“Quando parliamo di stati d’ansia ci addentriamo in un tema molto complesso – dice – perché le persone pensano che l’ansia sia qualcosa da eliminare e del tutto negativa, ma non sempre si tratta di uno stato patologico. Esiste infatti un’ansia segnale in grado di attivare tutte le nostre risorse nei momenti di stress, stimolandoci ad affrontarli.  Ne sono un esempio i sintomi ansiosi che si possono sperimentare in prossimità di un esame o di una scelta lavorativa o relazionale importante. ”

Quando diventa patologica?

Quando anziché attivare le risorse della persona, la blocca e la porta ad evitare delle attività, arrivando a limitarne anche di molto la vita.

Inoltre, se é comprensibile una reazione di ansia in presenza di fattori stressanti, diventa patologica quando i sintomi persistono anche una volta che il momento critico é passato.

Quali sono le cause?

Molteplici… Pensando a disturbi d’ansia veri e propri accade infatti che sia presente una predisposizione genetica di base, su cui andrebbero poi ad interagire fattori più ambientali. Può trattarsi appunto di eventi stressanti come ad esempio un lutto, la perdita di lavoro o qualche altro cambiamento destabilizzante, ma anche di fattori più educativi. La presenza infatti di genitori ansiosi e di uno stile educativo eccessivamente protettivo puó infatti influire sull’atteggiamento con cui i figli stessi reagiscono alle difficoltà”.

Come s’interviene?

Ci sono diversi tipi di trattamento, personalizzati in base alla specificità del disturbo e della persona con cui ci si trova lavorare. La letteratura definisce come trattamento elettivo quello integrato, ovvero quello in cui a una terapia farmacologica (quando necessaria) venga affiancata una psicoterapia. Una delle psicoterapie ritenute più efficaci per questo tipo di disturbi é ad esempio quella ad orientamento cognitivo- comportamentale.

L’intervento agisce sostanzialmente a tre livelli: uno psicoeducativo in cui si aiuta la persona a conoscere il proprio disturbo o sintomatologia e come si manifesta nel corpo. Molto spesso infatti alcune diagnosi avvengono in pronto soccorso proprio perché i sintomi dell’attacco di panico vengono scambiati con quelli dell’infarto.

Il secondo agisce invece più a livello cognitivo, andando a lavorare sui pensieri che alimentano, amplificano e mantengono la sintomatologia ansiosa. Spesso infatti le persone molto ansiose sono caratterizzate da pensieri catastrofici e spostati al futuro.

Un terzo momento che caratterizza questi tipi di intervento é infine quello comportamentale, in cui si aiuta la persona a esporsi gradualmente alle situazioni evitate.

Pratiche di Mindfulness, che rientrano sempre  negli interventi di stampo cognitivo comportamentale, possono inoltre essere di aiuto alla persona nel riportare la sua attenzione  al momento presente e nel riuscire a stare nell’esperienza che sta vivendo, senza giudicarla. Non solo, ma allenarsi a portare l’attenzione al proprio respiro nel momento presente può anche generare come “effetto collaterale” proprio uno stato di rilassamento utile a gestire meglio l’attivazione ansiosa”.

Amici o persone vicine possono dare una mano?

Certamente! Spesso l’aiuto che potrebbero dare, oltre ovviamente a orientare il loro familiare a rivolgersi a un professionista in grado di affrontare nello specifico questo tipo di problematiche , é quello di non mettere in atto comportamenti che senza volerlo potrebbero alimentare, anziché ridurre, il problema.

Proteggere, fare le cose al posto del paziente, essere a loro volta apprensivi rischia infatti di colludere con le modalità difensive attuate dal paziente stesso per evitare di confrontarsi con la propria difficoltà, generando paradossalmente l’effetto opposto.Anche dire stai calmo é un altro intervento sconsigliato in quanto il paziente potrebbe  non sentire riconosciuto il proprio disagio”.

Come comportarsi allora in presenza di un attacco di panico?

Si può restare vicini alle persone che soffrono di questo disturbo  attendendo il calo fisiologico dell’attivazione ansiosa senza mostrarsi spaventati.

Gli attacchi di panico raggiungono infatti  un picco entro i dieci minuti. Trascorso quel tempo, la sintomatologia ansiosa tende a scendere.

Può succedere tuttavia che, in seguito a un primo attacco di panico, di natura improvvisa e apparentemente senza motivo, ne possano susseguite degli altri per via di un circolo vizioso definito “paura della paura”, per cui la persona vive in uno stato di costante allarme, nell’aspettativa che possa ricapitare. Ed é proprio su questo meccanismo che è possibile intervenire, imparando strategie mirate alla gestione dell’ansia più che a una sua totale eliminazione”.

Psicologa e psicoterapeuta. Specializzata presso la scuola di Psicologia del Ciclo di Vita dell’Università Bicocca di Milano e iscritta all’Ordine degli Psicologi della Lombardia n. 03/15816, ha conseguito un master in diagnosi e trattamento dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento e ha partecipato a workshop di "Mindfulness-based Interventions" per adulti e bambini. Svolge attività di consulenza individuale e di gruppo, sia privatamente, sia all'interno di strutture residenziali nell’ambito psichiatrico e delle dipendenze patologiche. Le sue aree di maggiore interesse si estendono alle diverse fasi del ciclo di vita e sono: comportamenti problematici in età evolutiva, sostegno alla genitorialità, trattamento dei disturbi d'ansia e dell'umore, difficoltà relazionali e gestione di momenti di stress, crisi e cambiamento.

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