Il dott. Marco Trono è uno dei professionisti della medicina più noti in Italia nell’ambito della traumatologia, protesica d’anca, chirurgia articolare maggiore e minore. Originario di Napoli, ha 43 anni e si è formato all’Istituto ortopedico Rizzoli svolgendo poi stage in Francia, Belgio e Australia. Ad oggi ha svolto quasi quattromila interventi chirurgici. Lo abbiamo incontrato dopo aver assistito ad un incontro da lui organizzato con centinaia di pazienti ai quali attraverso diapositive e filmati ha spiegato le dinamiche pre e post operatorie.
Dott. Trono, esiste una prevenzione per l’artrosi d’anca?
Purtroppo no, non esiste una prevenzione in grado di prevenire l’insorgenza o arrestare e far regredire la patologia. Tuttavia è possibile seguire alcune regole per rallentarne il decorso; per esempio evitare incrementi di peso e in caso di obesità perseguire un sensibile calo ponderale. Per i pazienti più giovani ed attivi, in caso di condizioni predisponenti alla coxartrosi o in presenza di malattia in fase iniziale, consiglio di evitare o ridurre sport che possano sovraccaricare l’anca, come calcio o running; consigliati invece nuoto, bicicletta, palestra. Cosi si può almeno evitare di accelerare il decorso della patologia.
Ci sono in commercio farmaci che possono aiutare a rallentare il decorso della patologia?
Certamente: ad esempio i “condroprotettori” che migliorano le condizioni della cartilagine articolare, e quindi possono contribuire a migliorare la sintomatologia e a rallentarne il decorso, soprattutto nelle fasi iniziali. Esistono poi le infiltrazioni (meglio se eco guidate, più accurate e precise), che iniettano direttamente in articolazione farmaci quali cortisone, acido ialuronico, composti cellulari con fattori di crescita; possono dare buoni risultati, migliorare la sintomatologia per qualche mese, e rinviare l’indicazione chirurgica. Tuttavia per i casi conclamati dove l’articolazione è ormai compromessa, tutto questo trova scarsa applicazione e l’unica soluzione più rapida e sicura è la sostituzione protesica.
Chi sono i soggetti più colpiti e chi necessita della protesi. Di più i
giovani o gli anziani?
Parlando di artrosi, ovvero una malattia degenerativa che usura l’articolazione dell’anca, la fascia d’età più colpita è quella dopo i 65 anni di età. Tuttavia è presente anche tra i più giovani, addirittura in fascia 20-40 anni. La protesi è riservata a tutti i casi che presentano dolore e limitazione funzionale importante, indipendentemente dall’età; ovviamente nei pazienti più giovani, dove si prevede almeno una revisione futura, si cerca di rinviare l’intervento il più possibile con terapie alternative quali fisioterapia ed infiltrazioni, ma sempre a patto che i sintomi non siano di impaccio per una vita normale, altrimenti si opta per l’intervento da subito.
Coloro che si devono operare come possono prepararsi al meglio
per l’intervento? Il peso, ad esempio, è una cosa fondamentale oppure no?
Certo: più si è vicini al peso forma, più si facilita il compito del chirurgo e ci si aiuta nella gestione post-operatoria. L’obesità infatti complica dal punto di visita tecnico l’intervento, ed alza i rischi di complicazioni dopo l’operazione, quali trombosi, embolie ed infezioni. La fisioterapia aiuta moltissimo dopo l’intervento a recuperare prima possibile la funzionalità e forza; a mio giudizio anche uno o più cicli di trattamento prima dell’intervento preparano al meglio il corpo per un recupero più rapido, oltre a ridurre il dolore facilitando l’attesa dell’intervento.
Questo tipo di patologia è gestibile solo in un ambiente pubblico
oppure anche in strutture private?
Assolutamente in entrambe. Oltre alle strutture pubbliche, l’intervento di protesi d’anca può essere eseguito ugualmente in quelle private e convenzionate. A conferma di ciò ci sono i dati degli ultimi anni: in regioni come Lombardia ed Emilia Romagna è maggiore il numero di protesi eseguite in strutture private/convenzionate rispetto a quelle ospedaliere. Questo grazie a strutture sempre più di alto livello che garantiscono pari qualità e sicurezza, permettendo inoltre minori liste d’attesa e forse un maggiore confort alberghiero.
Ci sono dei lavori che più di altri possono provocare problemi al
paziente?
Sicuramente lavori estremamente usuranti che prevedono un importante impegno fisico possono minacciare la protesi e la sua durata ottimale negli anni; quando è possibile sarebbe opportuno modificare le mansioni lavorative. Comunque, la maggioranza dei lavori ad impegno fisico (operai, muratori etc) non rappresenta un problema, anzi, la soluzione protesica migliora la funzionalità e facilita lo svolgimento del lavoro. Ovviamente tutte le altre categorie di lavoro sedentario e semi sedentario sono perfettamente compatibili.
Una volta operato il paziente può tornare al lavoro come prima
oppure esistono delle precauzioni da adottare?
Dipende ovviamente dal tipo di lavoro; nella grande maggioranza dei casi si riprende la propria vita perfettamente, avendo solo cura di evitare pochissime attività o situazioni che possono far correre rischi alla protesi. Ad esempio flettere bacino e schiena ai gradi massimi come nelle tecniche di “allungamento muscolare”, o assumere posizioni da “contorsionista”.
Quanto dura una protesi di anca oggi?
Oggi i materiali proposti dall’industria sono molto migliorati, con prospettive fornite dai costruttori di oltre 30 anni. Tuttavia, noi medici seguiamo le statistiche che ci forniscono i registri quali il RIPO Emilia Romagna, o il registro Svedese, Australiano, Britannico, dove vengono annotate e monitorate tutte le protesi impiantate da moltissimi anni. Attualmente da questi dati si evince che dopo 15 anni circa il 95% delle protesi funziona ancora molto bene, mentre a 20 anni tale percentuale si abbassa a circa 80%. Quindi un’ottima prospettiva, ma ovviamente la durata dell’impianto dipenderà anche da come invecchierà il nostro osso ed il nostro corpo, e da come verrà usata la nostra protesi.
E’ necessario sottoporsi a controlli continui nel tempo dopo un intervento di protesi di anca?
Ritengo di si. Consiglio nel primo anno controlli clinico-radiografici a 1-3- 6 mesi. Successivamente a cadenza annuale; hanno lo scopo di evidenziare problemi all’impianto anche in assenza di sintomatologia e di poterli risolvere in maniera molto più semplice rispetto ai casi dove si sono radicati nel tempo e manifestati con sintomi solo dopo molti anni.