Condropatia del ginocchio

Sotto i riflettori una delle articolazioni più complesse del nostro organismo

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Il ginocchio è una delle articolazioni più complesse dell’organismo. Funziona nel rispetto di complesse leggi di anatomia e di biomeccanica e ciò lo rende eccezionalmente resistente e nello stesso tempo molto delicato: basti pensare al lavoro svolto quotidianamente ed ai disagi prodotti da una sua anche minima, disfunzione. L’articolazione del ginocchio connette il femore alla tibia , ed è protetta anteriormente dalla rotula facente parte dell’apparato estensore insieme al tendine quadricipitale e dal tendine rotuleo, che facilita il lavoro muscolare durante i movimenti di flessione ed estensione.

Le superfici ossee sono ricoperte da uno strato di cartilagine che le rende più lisce, facilitandone il reciproco scorrimento. Anche i menischi sono strutture cartilaginee, hanno forma di anello e servono sia ad aumentare la stabilità che la congruenza delle superfici di appoggio, inoltre ad assorbire gli urti e le forze di carico, agendo come dei veri e propri ammortizzatori.

L’articolazione è stabilizzata da quattro robusti legamenti: il legamento crociato anteriore (LCA), il legamento crociato posteriore (LCP), il legamento collaterale mediale (LCM) e il legamento collaterale laterale (LCL). Sono aiutati, in questo compito di stabilizzatori, dalla capsula e dai muscoli. L’insorgenza di lesioni cartilaginee è frequente per un meccanismo di usura determinato dalla ripetizione di certi movimenti, o in seguito a traumi veri e propri. Una lesione della cartilagine, più o meno profonda, viene chiamata condropatia e provoca un alterato scorrimento dei capi ossei che si traduce in dolore, gonfiore e difficoltà di movimento.

Per valutare l’area della lesione cartilaginea l’ortopedico eseguirà un accurato esame clinico e prescriverà una risonanza magnetica (RMN). La condropatia viene classificata in 4 stadi a gravità crescente che differenziano anche l’atteggiamento terapeutico da adottare.

  • Condropatia di 1°grado: è lo stadio meno grave, comporta solo un rammollimento della cartilagine, ma senza fissurazioni (microlesioni);
  • Condropatia di 2° grado: in questo stadio sono presenti alcune piccole fissurazioni, ma di misura inferiore ai 15 mm;
  • Condropatia di 3° grado: si riscontrano numerose fissurazioni, localizzate o diffuse, di misura superiore ai 15 mm;
  • Condropatia di 4° grado: corrisponde alla perdita di tutta la cartilagine e può evolvere in Condromalacia quando è interessato l’osso.

Per le lesioni cartilaginee più lievi è indicato il trattamento conservativo mentre per i casi più severi viene scelto quello chirurgico. Lo scopo terapeutico è di interrompere il circolo vizioso che, mediante l’aumento progressivo dell’attrito, porta alla degenerazione articolare. Il programma riabilitativo viene personalizzato in base alla sede e all’entità della lesione, con l’obiettivo di ridurre il dolore e ripristinare il tono-trofismo di particolari gruppi muscolari che svolgono un importante ruolo protettivo.

Un ruolo importante in questo stadio viene ricoperto da:

  1. controllo del peso: una valutazione collegiale con l’ausilio del nutrizionista soprattutto per pazienti sovrappeso od obesi è auspicabile per il corretto “utilizzo” del proprio ginocchio la cui struttura si sviluppa per supportare determinati carichi e facilmente si affatica superata la soglia limite che risulta variabile da persona a persona;
  2. integrazione alimentare: svolge un ruolo di supporto con complessi vitaminici (in massima parte dalla vitamina C) e complessi “disolfuro”(composti componenti veicolanti composti presenti nella struttura cartilaginea);
  3. piano riabilitativo: il fisioterapista gioca un ruolo primario sia nella terapia non chirurgica o conservativa che chirurgica riabilitativa post-operatoria.

Altro ruolo parimenti importante viene ricoperto dalla terapia infiltrativa che varia secondo la complessità della lesione dall’acido ialuronico (viscosipplementatore e viscoinduttore), al concentrato piastrinico (le cellule pluripotenti estratte dal sangue contenuto nelle piastrine possono tamponare le lesione cartilaginee) alle infiltrazioni di cellule mesenchimali derivanti dal grasso addominale (simile al PRP come funzione ma con un efficacia percentualmente superiore come affermato da recenti studi ).

Anche le tecniche chirurgiche adottate per il trattamento della cartilagine sono numerose. Alcune puntano a stimolare la capacità di riparazione del tessuto cartilagineo residuo attraverso la produzione di fibrocartilagine (cartilagine sostitutiva simile alla cartilagine originale ma con proprietà più limitate), mentre altre hanno come obiettivo la rigenerazione ex novo dell’area cartilaginea lesionata sostituendola con nuova cartilagine ialina. Ovviamente quest’ultima opzione è riservata a quelle lesioni più gravi che richiedono un intervento più radicale.

Condroabrasioni o shaving cartilagineo

Si tratta di un intervento che regolarizza semplicemente la superficie della cartilagine lesionata.
Nei primi gradi di lesione la cartilagine si sfrangia e forma delle fibrille che vengono asportate con uno strumento specifico nel tentativo di rimuovere i lembi e i margini liberi che entrano in conflitto meccanico con l’articolazione. I risultati a lungo termine sono scarsi. Non è un intervento di per sè risolutivo perché non ha capacità riparative nè rigenerative.

Microfratture

Questa tecnica mira a creare numerose perforazioni a livello subcondrale. Lo strato di osso al quale aderisce la cartilagine viene così fatto sanguinare e si forma un nuovo strato di cartilagine qualitativamente più scadente (cartilagine fibrosa) rispetto alla cartilagine originale (cartilagine ialina) ma comunque dotata di caratteristiche biomeccaniche accettabili.

Questo intervento rientra nell’ambito della chirurgia ripartiva. In genere viene proscritto il carico per un mese dopo l’intervento e l’attività sportiva ad alto impatto viene concessa dopo circa 6 mesi.

Innesti osteocondrali autologhi (OAT) o mosaico plastica

Nel corso dell’intervento vengono estratte delle “carote” di tessuto cartilagineo con una porzione di osso sub condrale da zone di non carico articolare e vengono “zeppate” nella lesione cartilaginea opportunamente preparata. In questo modo viene colmato il difetto cartilagineo con cartilagine ialina.
I risultati sono buoni anche nel lungo termine. L’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dagli 8 mesi in poi.

Trapianto di condrociti autologhi (ACI)

Questa metodica prevede 2 tempi chirugici: in un primo tempo vengono prelevati i condrociti dall’articolazione e messi in coltura per un mese; dopo 30 giorni i condrociti si innestano su una matrice tridimensionale (es: acido ialuronico) e vengono poi reinseriti nell’articolazione per colmare il difetto cartilagineo. I risultati a lungo termine sono ottimi ma i tempi di riabilitazione sono molto lunghi: l’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 10 mesi in poi.

Scaffold biomimetici 

Una delle ultime frontiere è rappresentata da questi supporti sintetici costituiti da idrossiapatite e fibre collagene. La tecnica prevede un solo tempo chirurgico nel corso del quale viene sagomato lo scaffold sulla base del difetto cartilagineo. Quest’ultimo viene inserito dopo aver fatto sanguinare la superficie lesionata in modo che le cellule staminali contenute nel sangue colonizzino lo scaffold e si differenzino in condrociti.
L’intervento prevede il non carico per 45-60 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 10 mesi in poi.

Trapianto di cellule mesenchimali autologhe

Vengono prelevate le cellule staminali dal midollo osseo del paziente, estratto dalla cresta iliaca. Queste cellule vengono veicolate su un supporto con aggiunta di fattori di crescita estratti dal sangue del paziente. Infine questo preparato si impianta a livello della lesione condrale colmando il difetto.
In genere sono esclusi i pazienti over 50 e i risultati sono sovrapponibili al trapianto di condrociti.
L’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 12 mesi in poi.
La riabilitazione post intervento così come i tempi di recupero varieranno molto a seconda della tecnica chirurgica adottata. È fondamentale svolgere un adeguato protocollo riabilitativo che permetta di recuperare il massimo nel rispetto dei tempi biologici di guarigione propri del tessuto cartilagineo.

La riabilitazione avviene attraverso 5 fasi con obiettivi ben definiti:

  • riduzione del dolore e del gonfiore,
  • recupero del’articolarità,
  • recupero della forza muscolare,
  • ripristino della coordinazione neuromotoria,
  • ritorno allo sport.

(fonte Isokinetic.com integrazione e rivisitazione Dr. A. Bitonti)

Ortopedico e Traumatologo.

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