Depressione senile: una realtà ancora in ombra

Nel 2020 sarà la seconda causa di disabilità, ma al momento meno del 50% dei pazienti riceve una diagnosi corretta.

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Nel 2025 i soggetti over 65 rappresenteranno il 30% della popolazione europea. In quegli stessi anni, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione sarà la seconda causa di disabilità dopo le malattie cardiovascolari.

La dimensione del problema non è, dunque, trascurabile: in Italia si è registrato, negli ultimi anni, un progressivo aumento dei casi di Disturbo Depressivo Maggiore tra gli over 65, passando dal 9.2% nel 2007 al 13% nel 2012. Un dato ancora più allarmante se consideriamo che in Italia un caso di suicidio su 3 ha oltre 70 anni.

Le cause sono riconducibili ad aspetti di natura sia organica che psicosociale. La depressione infatti spesso precede, o accompagna, quadri di demenza con una serie di fattori sia di tipo vascolare e neurodegenerativo sia di alterazioni biochimiche e strutturali a livello dei principali neurotrasmettitori.

A questo si aggiunge una condizione psicologica di particolare vulnerabilità: è un momento della vita in cui il proprio ruolo sociale viene ridimensionato e c’è un forte senso di solitudine e di perdita di autonomia, spesso dovuto alla presenza di altre patologie e importanti disabilità fisiche.

Tutto ciò contribuisce a rendere la diagnosi particolarmente difficoltosa: gli anziani si rivolgono soprattutto alla Medicina Generale, ma soltanto il 35-43%  dei casi riceve una diagnosi corretta, anche perchè molto spesso la depressione e la demenza viaggiano affiancate ed è arduo formulare una diagnosi autonoma.

A questo infatti si aggiunge il particolare quadro della depressione senile: non sempre infatti riscontriamo il quadro “classico” della depressione, bensì molto più tipica è una “depressione senza tristezza”, caratterizzata da apatia, svuotamento emotivo, ipocondria, somatizzazioni,irritabilità, deficit neuropsicologici.

Soltanto dopo l’esclusione di altre cause mediche che possano giustificare i sintomi,dopo una prolungata e attenta osservazione del paziente nel tempo, con il supporto delle informazioni dei familiari e l’ausilio di alcuni test psicometrici ,si può arrivare a una corretta diagnosi e alla definizione della terapia appropriata, che purtroppo si verifica solo nell’11% dei casi.

Si è visto come l’approccio più corretto sia un’associazione di supporto psico-sociale con una cauta farmacoterapia. Fondamentali sono gli interventi psico-educazionali: il fallimento delle terapie è infatti spesso imputabile, oltre a comparsa di effetti collaterali o alla mancanza di efficacia nella gestione dei sintomi, a una scarsa compliance del paziente, a una scarsa collaborazione tra le diverse figure professionali e a un mancato supporto familiare.

E’ indispensabile infatti il coinvolgimento della famiglia, non dimenticando che i caregiver hanno doppia probabilità di cadere in una condizione depressiva rispetto ai loro pari. Diversamente da come è diffuso nel pensiero comune, la depressione non è parte integrante, inevitabile, del processo di invecchiamento: è dunque importante, come ricorda l’OMS, “dare vita agli anni e non solo anni alla vita”.

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