Sindrome Metabolica, Ipercolesterolemia e Osteoporosi

Tra le varie vie metaboliche, quella del metabolismo lipidico e della sua relazione con le cellule ossee è forse poco conosciuta ai più ma non per questo meno importante.

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L’osso è un tessuto dinamico e viene costantemente rimodellato dalle cellule ossee. La riprogrammazione metabolica svolge quindi un ruolo fondamentale nell’attivazione e nella funzione di queste cellule.

Tra le varie vie metaboliche, quella del metabolismo lipidico e della sua relazione con le cellule ossee è forse poco conosciuta ai più ma non per questo meno importante. Studi recenti, infatti, stabiliscono anche un legame tra la perdita ossea e le condizioni che alterano i lipidi, come la malattia vascolare aterosclerotica, l’iperlipemia e l’obesità, sottolineando l’effetto dannoso dell’accumulo di grasso sull’omeostasi scheletrica con un incremento del rischio di frattura.

La sindrome metabolica (MetS) e l’osteoporosi sono due condizioni solo apparentemente non correlate. Infatti lo stato proinfiammatorio associato alla sindrome metabolica può comportare una diminuzione della massa ossea e portare anche ad una pressione sanguigna elevata con conseguente aumento dell’escrezione urinaria di calcio, alterando così sia il carico meccanico, sia i profili ormonali che quelli biochimici. L’aumento dei livelli di trigliceridi e glucosio plasmatico può anche causare un basso turnover osseo e influenzare le proprietà della struttura ossea. In uno studio del 2021 condotto su donne dell’Arabia saudita, l’osteoporosi era significativamente associata alla sindrome metabolica.  Questo risultato è coerente con altri studi (italiano del 2011 ed inglese sin da 2006) mentre in altre ricerche è stato valutato il rapporto tra colesterolo e massa ossea dimostrando che bassi livelli di HDL sono fattori di rischio per l’osteoporosi focalizzando quindi l’importanza di una diagnosi precoce dell‘osteoporosi in soggetti con Sindrome Metabolica. La dislipidemia è notoriamente un fattore di rischio per aterosclerosi, diabete, cancro e calcificazione vascolare, ma, come detto, studi recenti la collegano anche alla perdita di massa ossea, regolando sia, in incremento, il riassorbimento osseo osteoclastico sia, in diminuzione, la formazione ossea osteoblastica, in maniera difforme con prevalenza del primo rispetto al secondo. In parole povere osteoclasti più numerosi o più attivi e meno osteoblasti. Nel siero di topi in topi iperlipidemici i livelli di ormone paratiroideo (PTH), del fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α), del telopeptide C-terminale del collagene di tipo 1 (CTX; un marcatore di riassorbimento osseo), sono aumentati.

Poiché gli estrogeni svolgono un ruolo importante nella regolazione dei lipidi, la dislipidemia è spesso associata con lo stato postmenopausale; infatti una diminuzione della densità minerale ossea durante la menopausa è accompagnato da un aumento degli adipociti nello spazio midollare osseo. Il trattamento con estrogeni, come dimostrato sin dal 2008, può ridurre la dimensione degli adipociti del midollo nelle donne con osteoporosi; ed infatti, attraverso i recettori estrogenici (ERα), vengono regolate sia la dimensione delle goccioline lipidiche e che l’accumulo totale di lipidi nello spazio del midollo osseo in vivo. Tra l’altro dimostrato dal fatto che l’ovariectomia nei topi porta all’accumulo di grasso nel midollo osseo, facendo supporre che il ruolo inibitorio degli estrogeni sulla maturazione degli osteoclasti può essere, in parte, mediato dalla soppressione dell’accumulo di lipidi.

L’obesità, che è un problema di salute in aumento in tutto il mondo, soprattutto quello di cultura occidentale, è anche correlata alla tipica dislipidemia, tra cui aumento dei trigliceridi e degli acidi grassi liberi, un aumento delle LDL ed una riduzione delle HDL. Sino ad oggi un alto peso corporeo con una BMI (body mass index) alta era stata associata ad una elevata massa ossea, considerando quindi l’obesità un fattore protettivo per l’osteoporosi migliorandola e mantenendo alti livelli di estrogeni. Tuttavia, dati recenti hanno rivelato che l’obesità può essere al contrario un fattore di rischio per l’osteoporosi e le fratture. L’inattività fisica e l’invecchiamento sono notoriamente associati all’obesità e all’osteoporosi, riducendo la massa magra. Recenti ricerche hanno dimostrato che l’aumento della massa magra è correlato con una maggiore densità minerale ossea nelle donne in pre e postmenopausa, suggerendo che è la massa magra e non la massa grassa, ad essere fortemente associata alla qualità ossea complessiva. L’obesità, poi, è ulteriormente associata a patologie infiammatorie croniche di basso grado (inflamm-aging) e porta allo sviluppo di condizioni di comorbilità, come, ad esempio, il diabete mellito di tipo II (T2DM). I cambiamenti metabolici associati al diabete di tipo I e II sono spesso accompagnati da BMD normale o, addirittura, alta rispetto a individui sani di pari età pur essendo associati ad un aumentato rischio di fratture da fragilità, essendo prevalentemente associati ad una alterazione della microarchitettura (spesso indicata come “qualità” dell’osso).

Negli ultimi anni, inoltre, è stato dimostrato che anche gli uomini possono essere colpiti da questa “epidemia silenziosa” (la prevalenza di osteoporosi è risultata essere compresa tra il 6 e il 22%), anche se il rischio di fratture osteoporotiche nel corso della vita è negli uomini circa un terzo di quello nelle donne. La relazione tra ipercolesterolemia e osteoporosi negli uomini è molto importante poiché la prevalenza dell’ipercolesterolemia negli adulti di sesso maschile è in aumento, ed è persino superiore a quella delle donne, e quindi l’osteoporosi maschile non dovrebbe essere più considerata come evento raro ed improbabile. A ciò bisogna aggiungere, purtroppo, che le fratture da fragilità negli uomini sono associate a tassi di mortalità più elevati rispetto alle donne.

Una analisi di regressione multipla (analisi statistica particolarmente raffinata) ha suggerito che il colesterolo sia un predittore significativo ed indipendente di densità ossea e ad essa correlato in senso inverso. 

L’ipercolesterolemia danneggia prevalentemente la microstruttura ossea, aumentando così il rischio di osteopenia o OP e riducendo la resistenza ossea, con conseguente aumento del rischio di frattura. Molti studi in vitro hanno dimostrato che il colesterolo migliora la differenziazione e l’attività degli osteoclasti.

Una ricerca del 2019, mette in evidenza un tasso di turnover osseo più elevato e una ridotta BMD tra i maschi con ipercolesterolemia e marcatori sierici per il riassorbimento osseo (CTX) e la formazione ossea (P1NP) erano negativamente correlati con il colesterolo sierico. Molti studi sperimentali, ad oggi, hanno messo in evidenza che una dieta ricca di colesterolo o un aumento del colesterolo endogeno provoca la perdita di massa ossea nei topi individuando, anche se non in modo esaustivo, le varie vie di segnalazione che determinano l’azione di stimolo sulla maturazione, sopravvivenza ed attività degli osteoclasti.

Azione diametralmente opposta, con limitazione quindi della funzione degli osteoclasti, è svolta invece dagli acidi grassi polinsaturi a catena lunga (LCPUFA) che sono acidi grassi con un minimo di 18 atomi di carbonio e 2 doppi legami come ad esempio l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA). Le principali fonti di EPA e DHA sono il pesce grasso e i frutti di mare ma anche l’acido α-linolenico (ALA) di cui sono ricchi i semi di lino, i semi di canapa, le noci, l’olio di germe di grano, la portulaca (Portulaca oleracea L.), ed altri vegetali e che può anche essere metabolizzato in EPA e quindi convertito in DHA e viceversa. Controversa, al contrario, è l’azione degli acidi grassi saturi (SFA) mentre l’attività antiosteoclastogenica dell’acido oleico che è un acido carbossilico monoinsaturo a 18 atomi di carbonio della serie omega-9, è ben dimostrata.

In considerazione del rapporto tra ipercolesterolemia e fragilità ossea sono stati condotti numerosi lavori sulle statine sintetiche che hanno ampiamente dimostrato una influenza positiva sulla massa ossea down regolando l’osteoclastogenesi, attraverso, ad esempio l’incremento dell’osteoprotegerina che antagonizza il fattore di attivazione degli osteoclasti che è il RANKL. Ciò è stato dimostrato non solo in ricerche sperimentali ma anche, e direi soprattutto, tramite ricerche cliniche. In una di esse la rosuvastatina ha aumentato l’osteocalcina rispetto all’ezetimibe, un farmaco ipolipemizzante ma non statinico, nei pazienti con ipercolesterolemia.

È stato quindi logico ricercare se e quanto il riso rosso fermentato (Red yeast rice RYR), succedaneo naturale della terapia ipocolesterolemizzante, avesse impatto sull’osteoporosi. Attualmente, l’unico farmaco indicato per promuovere la microarchitettura ossea per il trattamento dell’osteoporosi è teriparatide. Purtroppo, la sua sicurezza e gli effetti collaterali sono importanti al punto che il suo utilizzo è limitato a 24 mesi nel corso della vita. È inoltre molto costoso, e dispensabile gratuitamente solo rispettando rigidi parametri di gravità. Tuttavia una metaanalisi (un severo studio critico delle varie pubblicazioni scientifiche sull’argomento) ha scoperto che il riso rosso fermentato e il suo estratto promuovono la proliferazione degli osteoblasti, che è importante nella formazione dell’osso. Può attivare, inoltre, la via di segnalazione aumentando il contenuto delle proteine morfogenetiche ossee nelle cellule staminali mesenchimali, inducendole a differenziarsi in osteoblasti. Il miglioramento della BMD indotto da RYR è molto probabilmente correlato alla promozione della mineralizzazione della matrice ossea da parte degli osteoblasti. Rispetto alla maggior parte degli inibitori dell’assorbimento osseo usati per trattare l’osteoporosi, il riso rosso fermentato ha il vantaggio di promuovere la proliferazione degli osteoblasti, nonché down regolare l’osteoclastogenesi promuovendo così la microarchitettura ossea e aumentando la massa e la forza del tessuto osseo.

Una piccola curiosità: del riso rosso fermentato se ne parla per la prima volta nelle Cronache locali di Gutian(古田县志), che risale alla dinastia Tang (618–907) d.C.; e di esso si parla anche in molti altri testi antichi come Qing Yi Lu (清异) (dalle Cinque Dinastie e dalla Dinastia Song del Nord, 907-1127 d.C.), Hai Lu Sui Shi (录碎事) (Dinastia Song, 960–1279) e Tian Gong Kai Wu (天工开物) (dinastia Ming, 1368–1644).

Dott. Gianfranco Pisano Laureato in Medicina e Chirurgia all’ Università la Sapienza Roma Master in Medicina dello Sport, Università di Siena Master malattie metaboliche dell'osso, osteoporosi, Università di Firenze Master Fitoterapia, Università di Trieste e Computense di Madrid

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