Il lattosio: uno zucchero da conoscere

Il lattosio è uno zucchero composto da due unità (disaccaride): galattosio e glucosio.

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Tra i vari disturbi che si registrano a carico del sistema gastrointestinale, senza dubbio l’intolleranza al lattosio è una delle condizioni più diffuse. In Italia è circa il 40% della popolazione ad essere incapace di digerire questo zucchero. Approfondirne le cause ci aiuta ad operare scelte corrette quando siamo a tavola, cercando di eliminare i sintomi che derivano da tale condizione ed evitando di incorrere in possibili stati di carenze nutrizionali.
Il lattosio è uno zucchero composto da due unità (disaccaride): galattosio e glucosio. Una volta ingerito attraverso il consumo di latte e derivati, è necessaria la presenza di un enzima per consentirne l’assorbimento da parte dell’intestino. Tale molecola di natura proteica si chiama lattasi, e viene prodotta dalle cellule del duodeno. Il latte materno rappresenta la fonte di sostentamento principale per i neonati: un litro di questa sostanza apporta circa 60 g di lattosio, più di ogni altro latte animale in quanto la concentrazione di questo zucchero è direttamente proporzionale alla grandezza del cervello della specie che lo produce.

La funzione energetica del glucosio è conosciuta da molti, mentre non è nota a tutti l’azione svolta dal galattosio in merito allo sviluppo del sistema nervoso. Alla nascita siamo sprovvisti di mielina, sostanza che avvolge le lunghe fibre neuronali e che consente il propagarsi dell’impulso nervoso, ed è proprio il galattosio a stimolare la sintesi dei cerebrosidi, componenti essenziali per la formazione della guaina mielinica. Tuttavia, se non viene dissociato dal glucosio, questo nutriente non può esplicitare le sue funzioni. L’intervento della lattasi è quindi necessario affinché lo zucchero venga metabolizzato e sia pronto per essere assorbito. Ad eccezione di chi è affetto da deficit congenito di lattasi, ciascuno di noi nasce con questo enzima ed è in grado di digerire il lattosio. Per di più, si tratta di un enzima inducibile: più lattosio si introduce, maggiore sarà la produzione di lattasi. Dopo lo svezzamento, la quota dello zucchero in questione introdotta sarà sempre meno (considerando che per alcuni mesi di vita il latte materno è l’unica fonte di sostentamento). Chi è intollerante al lattosio crescendo perde, completamente o in parte, la capacità di sintetizzare questo enzima: si parla di intolleranza al lattosio primaria. Questi soggetti possiedono delle varianti genetiche che conducono ad una ridotta espressione della lattasi col passare del tempo. In alcuni casi, la carenza della lattasi è transitoria in quanto dovuta da patologie specifiche, come ad esempio la gastroenterite acuta, oppure il morbo di Chron o la celiachia. In questo caso, l’intolleranza al lattosio permarrà fino a quando l’integrità della parete gastrica non sarà ripristinata.

Quando il lattosio non viene digerito, rimane nell’intestino e richiama per osmosi acqua. Proprio per questa ragione si accusano tensione addominale, crampi, formazioni di feci non composte. È possibile avvertire anche altri sintomi, non necessariamente a carico dell’apparato gastro-enterico. Più raramente, infatti, possono insorgere mal di testa, stanchezza e spossatezza, eruzioni cutanee, gastriti, anche erosive fino a comparsa di ulcere. L’insorgenza di questi segnali generalmente non si registra fin quando permane almeno il 50% della capacità di produrre lattasi. Inoltre, è stato dimostrato che soggetti in cui si registrano fenomeni di malassorbimento di lattosio possono consumare dosi corrispondenti a circa 12 g senza avvertire alcun sintomo. Per diagnosticare questo disturbo il breath-test è senza dubbio il più diffuso e meno invasivo. Dopo aver assunto una quantità di lattosio pari a 25 g, vengono registrati i livelli di idrogeno: in caso di intolleranza, infatti, il lattosio viene fermentato dai batteri intestinali con conseguente produzione di gas, che sarà espulso attraverso le vie respiratorie e presente in concentrazioni superiori rispetto alle condizioni di normalità. Per complementarità è possibile anche effettuare un test genetico in grado di individuare varianti del DNA (polimorfismi) del gene LPH presente sul cromosoma 2, così da verificare se si è in presenza di intolleranza al lattosio oppure ipolattasia (o lattasi non persistente, LNP). In quest’ultimo caso si verifica la predisposizione a sviluppare alterazioni metaboliche a carico dal lattosio: ciò non significa che si presenterà inevitabilmente tale situazione.

I sintomi da malassorbimento scompaiono solo con l’esclusione del lattosio dalla propria dieta, anche se, come detto prima, una piccola quantità è comunque tollerata. Questo zucchero è presente nel latte di vacca, pecora, capra, bufala e asina, ed ovviamente in tutti i prodotti caseari derivati, soprattutto i formaggi freschi. Molto spesso è utilizzato anche come addensante, per cui è bene leggere le etichette dei vari prodotti che mettiamo nel carrello. I formaggi stagionati possono essere invece consumati con più tranquillità in quanto contengono minime tracce di lattosio (nel tempo di stagionatura il lattosio viene trasformato in acido lattico dai batteri residenti). I progressi dell’industria alimentare hanno permesso anche l’immissione in commercio di una serie di prodotti delattosati, cibi che hanno subìto processi di idrolisi mediante l’introduzione di una lattasi proveniente da funghi o lieviti. Molto spesso, quando si scopre l’intolleranza, si tende ad eliminare, sbagliando, del tutto latte e formaggi, sottoponendosi al rischio di carenza di calcio. Tale mancanza, se protratta nel tempo, può provocare crampi, debolezza, dolori muscolari e scheletrici, dolori alle estremità delle dita, all’avambraccio e alla zona lombare, fragilità ossea che porta, in casi gravi, a particolari deformazioni, a osteopenia fino all’osteoporosi, soprattutto nelle donne. La carenza di calcio si riconosce anche da piccoli segnali: la pelle diventa sempre più secca, le unghie sono fragili, si perdono i capelli e si formano carie ai denti. Tra le altre sintomatologie di carenza di calcio si può riscontrare uno squilibrio dell’attività tiroidea, del fegato e dei reni, nonché insonnia e tachicardia. Sarebbe quindi opportuno sostituire i prodotti contenente lattosio con i corrispettivi lactose free, associandoli anche ad altri cibi che sono fonti di questo minerale, come il radicchio verde, agretti, cicoria, spinaci, legumi e molluschi.

 

Biologo Nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva Professore a c. Master in "Scienze della Nutrizione e Dietetica Clinica" presso l'Università degli Studi di Roma Unitelma La Sapienza. Professore a c. Master in "Terapie Integrate nelle Patologie Oncologiche Femminili" presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Professore a c. Master di II livello in "Medicina integrata e food management per la prevenzione e cura dei tumori" presso l’Università degli Studi di Catania. Istruttore Protocolli Mindfulness.

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