- Adv -
Sempre più spesso accusiamo rapidi cambiamenti del nostro umore, passando dal nervosismo alla frustrazione. Stanchezza e spossatezza sembrano non abbandonarci mai. Alla domanda “Cos’hai?”, basta un’unica parola come risposta per far comprendere al nostro interlocutore la causa di queste spiacevoli sensazioni: stress. Sono sufficienti sei lettere per descrivere un fenomeno che in realtà è molto più complesso di come appare ai nostri occhi, e che, se protratto a lungo, può generare uno stato di infiammazione cronica di basso grado (inflammaging) dell’organismo, rendendolo più suscettibile allo sviluppo di numerose patologie.
L’argomento in questione è senza alcun dubbio uno dei più attuali: è inevitabile che il distanziamento sociale e il tema della precarietà della vita umana connessi alla pandemia dell’ultimo anno, abbiano generato in noi paura e sgomento. Tuttavia, altri fattori possono configurarsi come stressor (agenti stressogeni) in modo più o meno oggettivo. Ad esempio, sostenere un lavoro a termine è una condizione che può provocare preoccupazione ed ansia quasi in modo universale; viceversa, eventi lieti come un matrimonio o una nascita possono essere elaborati da ciascuno in modo differente, generando un ventaglio molto ampio di stati d’animo, dalla felicità all’agitazione. Lo stress è quindi presente nella vita di ognuno, ma non sempre è dotato di connotazioni negative. Infatti, quando lo stimolo proveniente dall’ambiente esterno che causa la rottura del nostro equilibrio psicofisico viene fronteggiato utilizzando al meglio le nostre risorse, accresce le forze e le percezioni ottimistiche (eustress). Invece, quando alla fase di allerta iniziale non segue uno stato di rilassamento, si instaura una condizione di resistenza che attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (distress). Ciò determina una produzione prolungata nel tempo di ormoni e neurotrasmettitori, tra cui cortisolo, adrenalina e noradrenalina. A livello fisico, l’attivazione del sistema nervoso simpatico determina un incremento del numero dei battiti cardiaci e l’innalzamento dei valori di pressione sanguigna, a cui può sommarsi anche un’alterazione nella frequenza degli atti respiratori. Il sistema cardiaco e quello polmonare richiedono, dunque, un maggiore quantitativo di sangue, che viene richiamato dai distretti corporei periferici: la pelle diventa pallida e le estremità degli arti più fredde; si perde la lucidità mentale e prende il sopravvento l’irrequietezza; ricorrono difficoltà nella digestione, che causano nausea e dolori allo stomaco. Se questo è il quadro che prevale prettamente nella fase di allarme, quella di resistenza è dominata da una overproduzione di cortisolo, i cui effetti si manifestano in particolar modo sul sistema immunitario. L’aumento della sintesi di tale ormone diminuisce la popolazione di linfociti T, incrementa il rilascio di composti chimici (come l’interleuchina 1 e 6) responsabili di instaurare uno stato infiammatorio, e ritarda la produzione di anticorpi. In questo stato, l’organismo è più soggetto a malattie infettive, in particolare quelle causate da virus come l’Herpes-Simplex o Epstein-Barr. L’accensione di uno stato di infiammazione di basso grado rappresenta terreno fertile per numerose patologie: le placche aterosclerotiche sono più soggette a rottura, innalzando il rischio di infarto; le cellule accumulano mutazioni e tendono a sviluppare fenomeni di cancerogenesi; il concomitante aumento di citochine pro-infiammatorie e acidi grassi liberi predispone allo sviluppo di malattie metaboliche, come il diabete.
È la nostra reazione all’evento stressogeno a determinare l’entità della risposta elaborata dall’organismo, che si può dunque risolvere in breve tempo o prolungarsi più a lungo fino a giungere all’esaurimento. È importante sapere che esistono delle pratiche di meditazione in grado di modulare lo stato di tensione psicofisica. Una tra queste è la Mindfulness, che ha come scopo quello di “prestare attenzione in un modo particolare: con intenzione, nel momento presente, in modo non giudicante”. È questa la definizione fornita da Jon Kabat-Zinn, considerato da molti il padre di questo innovativo metodo (che oramai medicina e praticanti usano da 40 anni!), che si pone lo scopo di raggiungere la consapevolezza di sé, ricercando di unire in tutt’uno mente e corpo, e concentrandosi su quello che avviene: un modo naturale, ma del tutto nuovo, di incontrare la realtà in modo non religioso, ma laico. Abituati a reagire a ciò che accade, questo approccio ci invita a concentrarci e ad osservare ciò che avviene attorno a noi con una maggiore consapevolezza percorrendo la strada della presenza. Ci conferisce il privilegio di prestare ascolto alle emozioni ed impressioni che avvertiamo nella vita di ogni giorno senza venirne travolti o sentire l’esigenza di dover obbligatoriamente agire. La pratica della Mindfulness ha una valenza terapeutica scientificamente dimostrata. Uno studio svolto presso la Carnegie Mellon University ha monitorato il livello di specifici biomarker neurobiologici in un vasto campione di soggetti che avevano seguito il training di Mindfulness per 8 settimane. I risultati mostrano un netto calo di interleuchina-6, mediatore chimico ad azione pro-infiammatoria. La riduzione del parametro in questione è dovuta a dei cambiamenti a livello neurologico, in positivo, dovuti alla stimolazione della corteccia cerebrale e misurabili fino a 4 mesi dopo essersi dedicati alla pratica meditativa. Livelli elevati di IL-6 sono stati misurati in pazienti affetti da Alzheimer, depressione, aterosclerosi, diabete e in presenza di tumori metastatici. Tuttavia, è stato dimostrato che lo smettere di praticare la meditazione mindful faccia tornare al punto di partenza. Quindi la costanza appare l’unica via di miglioramento delle connessioni sinaptiche e di riduzione dei marker dello stress.
Tendiamo di frequente a sottovalutare l’influenza della componente stress sulle nostre vite, noncuranti di quanto invece un sovraccarico di pensieri e di stati d’animo possa avere conseguenze negative a più livelli sulla nostra salute. La mindfulness è ad oggi una delle “medicine” più efficaci che, anche attraverso l’efficacia antinfiammatoria, è in grado di ridurre il rischio di sviluppo di innumerevoli patologie come naturale conseguenza dell’imparare a vivere meglio.